La materia oscura: palese illusione o oscura verità?
Luigi Maxmilian Caligiuri - 01/01/2016
Sono trascorsi ormai più di ottant’anni da quando il fisico svizzero Fritz Zwicky, studiando l’ammasso (cluster) di galassie gigante denominato Coma, notò un fenomeno sorprendente. Egli si accorse, infatti, che ogni componente dell’ammasso si muoveva a una velocità talmente elevata da poter sfuggire facilmente all’attrazione gravitazionale di tutte le altre stelle presenti nel cluster, tuttavia ciò non accadeva e l’ammasso rimaneva stabile. Il fenomeno sarebbe stato possibile solo nel caso in cui fosse stata presente una forza di gravità di intensità ben maggiore rispetto a quella prevista teoricamente. Di conseguenza, essendo la gravità originata dalla massa, si sarebbe dovuta ammettere la presenza di una qualche “sostanza” invisibile “nascosta” all’interno delle galassie e nello spazio tra esse, in grado di esercitare questa enorme forza di gravità “aggiuntiva”, in grado di condizionare profondamente anche la dinamica dell’Universo nel suo complesso. Zwicky chiamo tale “sostanza” materia oscura (MO). In realtà, già nel 1932 (l’anno precedente alla scoperta di Zwicky), l’astronomo tedesco Jan Oort aveva notato una fenomeno analogo, sebbene su una scala molto più piccola, all’interno della nostra galassia. La legge di gravitazione universale di Newton prescrive che le stelle più vicine al nucleo di una galassia debbano orbitare intorno a questo più velocemente rispetto a quelle poste a distanze maggiori.
Ciò è sostanzialmente una conseguenza del fatto che la forza di gravità tra due oggetti puntiformi massivi, descritta dalla nota legge di Newton, decresce, all’aumentare della distanza tra i due corpi, come l’inverso del quadrato della distanza reciproca ossia:
Ciò che accade nelle galassie è del tutto analogo a ciò che avviene nel nostro sistema solare in cui, ad esempio, Mercurio ruota intorno al Sole in soli tre mesi, mentre la Terra ne impiega dodici e Plutone circa 250 anni terrestri. L’intensità della forza di gravità decade velocemente con l’aumentare della distanza in modo che gli oggetti più lontani orbitano con velocità inferiori. Ma questo non è ciò che in effetti accade nella nostra galassia così come in tutte le altre osservate. Ad eccezione delle stelle che ruotano velocemente intorno al buco nero supermassivo presente vicino al nucleo della Via Lattea, tutto il resto della galassia ruota intorno al nucleo approssimativamente alla stessa velocità, indipendentemente dalla distanza dal centro. Ciò significa che la velocità di rotazione di una stella molto lontana dal Sole orbita intorno al nucleo a una velocità non molto diversa da quella del Sole, pari a circa 220 km/s ossia, detto in termini più tecnici, la curva che descrive l’andamento della velocità di rotazione delle galassie in funzione della distanza dal nucleo mostra un andamento pressoché “piatto”. È come se tutta la nostra galassia fosse avvolta in un'enorme bolla di materia invisibile contenente una quantità di materia pari a più di cinque volte quella associata alla massa attualmente stimata della Via Lattea. Questa MO dovrebbe “riempire” lo spazio all’interno di ogni galassia e quello tra le galassie stesse determinando quindi un contributo aggiuntivo rispetto alla forza di gravità stimata considerando solo la quantità di materia “visibile”; tale questione determina il cosiddetto “problema della massa mancante”. Inizialmente si pensava che tale anomalia fosse caratteristica della nostra galassia o, al massimo, di quelle di forma a spirale come appunto la Via Lattea. Tuttavia lo sviluppo tecnologico dei telescopi ha mostrato che non era questo il caso: più si approfondiva la conoscenza osservativa dell’Universo, maggiori conferme sperimentali otteneva questo misterioso fenomeno. Ma quali potevano essere le possibili soluzioni all’enigma? Forse nell’Universo esistevano molte più stelle, nubi di polvere o nebulose rispetto a quelle previste? Oppure questa gravità “mancante” si nascondeva all’interno dei buchi neri? Purtroppo tutte queste possibilità si sono rivelate inconsistenti. Per quanto riguarda le stelle, si tratta come ovvio di oggetti luminosi soprattuto quando risultino di massa elevata, ciò significa che l’esistenza nell’Universo di un numero di stelle sensibilmente maggiore rispetto a quelle visibili è del tutto improbabile; lo stesso discorso vale anche per le nane brune (ossia di quei corpi celesti la cui massa è maggiore di quella tipicamente associabile a un pianeta, ma minore della massa critica necessaria a innescare i processi di fusione termonucleare propri delle stelle). La presenza di un’elevata quantità di nubi di polvere, d’altra parte, sarebbe evidenziata dagli effetti di schermatura che queste avrebbero nei confronti degli oggetti retrostanti, fenomeno che non viene riscontrato sperimentalmente. Anche l’effetto della presenza delle nebulose sarebbe facilmente caratterizzabile in base alla presenza, nella luce captata sulla Terra, di particolari linee spettrali che ne costituiscono la “firma”. Infine, anche la presenza di buchi neri supermassivi, all’interno delle galassie, sarebbe prima o poi reso evidente dagli effetti che questi avrebbero sulle stelle che si trovassero nelle loro vicinanze (come ad esempio accade nel caso della sorgente di raggi X denominata Cygnus X- 1 nella costellazione del Cigno, la cui presenza si ritiene associata a un buco nero e che compone, assieme a una stella supergigante blu variabile, un sistema binario in rapida rotazione attorno al centro di massa del sistema). Dunque nell’Universo esiste molta più gravità di quella prevista in base ai calcoli che tengono conto della materia osservabile, ma da cosa ha origine questa gravità? I tentativi di una semplice e immediata spiegazione in termini di fenomeni più o meno noti (quali ad esempio quelli appena citati) fallisce miseramente. La spiegazione comunemente accettata del fenomeno è basata sull’ipotesi, finora mai verificata, dell’esistenza di un tipo di materia esotica, avente proprietà molto speciali, la materia oscura appunto, presente in tutto l’Universo e in grado di generare il contributo “mancante” alla forza di gravità dovuta esclusivamente alla materia “ordinaria” visibile. Tuttavia, come vedremo, tale spiegazione, oltre alla fondamentale mancanza di una verifica sperimentale diretta, presenta numerosi problemi di natura teorica e concettuale, semplicemente “ignorati” nella maggior parte delle analisi condotte nell’ambito della ricerca di “mainstream”. Tali fondamentali difficoltà hanno suggerito l’elaborazione di modelli teorici più coerenti quale, in primo luogo, quello noto come MOND (acronimo di “MOdified Newtonian Dynamics”, ossia dinamica newtoniana modificata, proposta dal fisico Mordehai Milgrom) basata su una modifica della legge di gravitazione universale di Newton. Anche quest’ultimo modello, comunque, sebbene decisamente più accettabile e fisicamente coerente, non risulta scevro da problemi ancora irrisolti, soprattutto in riferimento all’origine fisica della modifica della legge di Newton della forza gravitazionale. In questo senso è evidente che il problema fondamentale della gravità “mancante” potrà essere risolto soltanto attraverso una comprensione più profonda dell’origine fisica della forza di gravità che, ad oggi, le teorie comunemente accettate non riescono ancora a fornire.
Come accenneremo brevemente nel seguito, un nuovo approccio alla soluzione di tale problema è stato recentemente proposto (Caligiuri e Sorli, 2014), ma questo richiede una profonda rivisitazione del concetto di spazio fisico e di vuoto rispetto all’interpretazione comunemente accettata.
La Materia oscura e le “particelle debolmente interagenti”
La teoria “ufficiale” più accreditata proposta per spiegare le “anomalie” gravitazionali descritte si basa sull’esistenza della MO e sull’ipotesi che essa sia costituita da un tipo particolare di particelle di materia ancora ignota, dotate di massa ma capaci di interagire con la materia ordinaria in maniera estremamente debole, per tale ragione tali ipotetiche particelle vengono spesso denominate WIMPs (acronimo di “Weakly Interacting Massive Particles”). Nonostante la semplicità concettuale, tale teoria presente un evidente quanto sostanziale punto di debolezza. Per comprenderlo è sufficiente considerare un’analogia con quelle che si ritengono essere le particelle più diffuse nell’Universo: i neutrini. Come noto, i neutrini sono particelle invisibili e interagiscono molto debolmente con la materia ordinaria. Circa un trilione di neutrini attraversa ogni secondo la superficie dell’unghia di un dito eppure, statisticamente, bisognerebbe attendere circa cento anni affinché uno di questi interagisca con un singolo atomo nel nostro corpo. In questo senso non è difficile immaginare che la materia ordinaria possa essere “immersa” in un oceano di neutrini senza che ciò costituisca un particolare problema concettuale. Tuttavia, nel caso delle presunte WIMPs le possibili analogie con i neutrini finiscono qui. Infatti, per riuscire a rendere conto degli effetti gravitazionali osservati, una quantità enorme di tali particelle non solo dovrebbe avvolgere completamente, come un alone, ogni galassia ma dovrebbe anche “nascondersi” in tutto lo spazio “vuoto” tra le galassie stesse. Nondimeno, a differenza dei neutrini, la cui massa è sostanzialmente trascurabile, le WMIPs dovrebbero essere caratterizzate ciascuna, per essere in grado di generare la quantità di gravità “mancante”, da una massa dell’ordine di quella di un atomo di piombo. È evidente che ciò rende estremamente difficile immaginare come centinaia di queste particelle possano attraversare il nostro corpo ogni secondo senza alcun tipo di effetto sui nostri atomi. Ancora, così come accade per la materia ordinaria, tali particelle sarebbero in grado di formare degli aggregati i cui effetti dovrebbero essere rilevabili dal momento che alle WIMPs sarebbe attribuita l’origine della notevole quantità di gravità “mancante”. Lo scenario risultante apparirebbe dunque quello di un “doppio” universo, composta da un lato dall'“ordinaria” materia ordinaria e, dall’altro, dalla fantomatica materia oscura sotto forma di WIMPs la quale, tuttavia, avrebbe come unico effetto quello di “stabilizzare” la forza di gravità a grandi distanze dal centro delle galassie. Come se non bastasse, per poter funzionare, ogni galassia dovrebbe possedere la propria caratteristica distribuzione di materia oscura in grado di generare gli specifici effetti gravitazionali nel particolare sistema osservato. Ciò introduce la richiesta di una sorta di “calibrazione” fine nella distribuzione della MO che appare come come un escamotage ontologico privo di qualsiasi giustificazione oggettiva.
La teoria della gravità “modificata” o MOND
La teoria della gravità modificata o MOND, proposta da Milgrom, affronta il problema degli effetti gravitazionali anomali da un punto di vista sostanzialmente differente. Infatti, invece di attribuire tali effetti a una ipotetica massa mancante da cercare tra le galassie, nel modello MOND è la forza di gravità stessa a cambiare la propria forma matematica in modo da spiegare gli effetti osservati. In parole povere, secondo tale modello, il comportamento delle galassie sarebbe governato da una forma modificata della legge della gravitazione universale di Newton secondo la quale l’aumento nella velocità di rotazione, osservato rispetto a quello previsto dalla legge classica nelle regioni più esterne delle galassie a spirale, sarebbe da attribuire o a un incremento dell’intensità della forza di gravità, oppure a una riduzione dell’inerzia associata alle stelle rotanti. Questo scostamento dalla legge di Newton si verificherebbe quando l’accelerazione delle stelle diminuisce al di sotto di una certa soglia critica, il che avviene, per ogni galassia, a una differente distanza rispetto al centro di rotazione. In questo modo la forza di gravità diventerebbe più forte del previsto (inverso del quadrato della distanza) proprio laddove essa tenderebbe a imprimere alle stelle rotanti una minore accelerazione. L’ipotesi che la legge di Newton possa subire delle modificazioni rispetto alla formulazione classica non è un’idea nuova in fisica (possibili deviazioni sono state proposte in modelli alternativi della gravità o nell’ambito degli studi volti a spiegare le variazioni del valore della “costante” di gravitazione universale) e, nonostante spesso venga guardata con diffidenza da parte dei sedicenti detentori della scienza ufficiale, essa non risulta in generale in contraddizione con la teoria della relatività generale di Einstein che rappresenta la formulazioni “ufficiale” della teoria della gravitazione. In questo modo la teoria MOND riuscirebbe a descrivere, utilizzando un unico parametro, l’andamento delle velocità di rotazione di tutte le galassie, senza ricorrere all’ipotesi della MO. Ma esistono, allo stato, delle evidenze sperimentali specifiche che possano in qualche modo confermare tale teoria? Una possibile supporto potrebbe venire dallo studio del fenomeno noto come “lente galassia - galassia”, in base al quale la luce proveniente dalle galassie distanti viene distorta durante il passaggio vicino alle galassie più vicine prima di arrivare alla Terra. Questo effetto, infatti, consentirebbe di valutare il campo gravitazionale di tutti i tipi di galassie (non soltanto di quelle a spirale) verificando se la teoria MOND sia applicabile, in generale, anche a questi casi. In effetti alcune verifiche preliminari di questo tipo sono state già realizzate dando un buon accordo con i dati sperimentali. Ulteriori evidenze potrebbero derivare dallo studio della galassia a noi più vicina, Andromeda, per la quale la teoria MOND è in grado di prevedere la velocità di rotazione delle galassie esclusivamente facendo riferimento alla distribuzione della materia visibile. Sono state quindi previste le velocità di stelle appartenenti a circa trenta galassie nane satelliti di Andromeda i cui valori sono risultati in buon accordo con quelli effettivamente misurati. Un ulteriore conferma della teoria MOND potrebbe derivare dall’applicazione della cosiddetta relazione di Tully-Fisher, secondo la quale la velocità di rotazione della galassie a spirale è direttamente proporzionale alla loro luminosità, essendo quest’ultima a sua volta proporzionale al numero di stelle presenti e, di conseguenza, alla massa totale della galassia. L’accordo tra le previsioni della relazione di Tully-Fisher e le previsioni della MOND risulta, per le galassie finora considerate, migliore rispetto a quello che si otterrebbe considerando gli attuali modelli della MO. Inoltre, nel 2013, si è scoperto che le stelle della Via Lattea che si muovono immediatamente al di sopra ed al di sotto del disco della galassia hanno velocità di rotazione che si accordano con le previsioni della MOND. Ma oltre alle fondamentali evidenze di carattere sperimentale che costituiscono certamente il banco di prova di qualsiasi teoria fisica, la MOND presenta dei punti di forza di carattere epistemologico e teoretico generali: l’utilizzo di un un unico parametro descrittivo (la distanza dal centro di rotazione) e il carattere predittivo a priori rispetto a quello descritto a posteriori del modello della MO. Nondimeno, anche la teoria MOND può ritenersi tutt’altro che definitiva nella descrizione e comprensione delle “stranezze” gravitazionali osservate nelle galassie. Difatti, se da un lato la MOND non richiede l’esistenza di una nuova forma di materia dalle proprietà particolarmente esotiche, dall’altro una verifica diretta della validità della teoria stessa in senso assoluto richiederebbe l’utilizzo di un apparato sperimentale di misura posto sufficientemente lontano da qualsiasi campo gravitazionale ossia, nel caso della Terra, a una distanza di circa dieci anni luce, attualmente improponibile anche solo ipoteticamente. Inoltre, alcuni studi parrebbero evidenziare che, mentre la MOND riesce a riprodurre in maniera soddisfacente il comportamento delle stelle nello spazio tra una galassia e l’altra, il modello della MO sarebbe più accurato nel descrivere ciò che accade su scale spaziali maggiori. Ma la difficoltà maggiore del modello MOND è sicuramente quella di non spiegare, dal punto di vista fisico, l’origine della modifica della legge di Newton e la conseguente introduzione di un valore di accelerazione “critica” al di sotto della quale la modifica stessa entra in azione; in questo senso essa è analoga alla teoria della MO con la sua introduzione tout court di un nuovo tipo di materia dalla proprietà finemente calibrate per soddisfare la teoria stessa.
Nessuna delle due teorie è oggi in grado di fornire una risposta completamente esaustiva e definitiva al problema fondamentale della gravità “mancante” che solo una più profonda comprensione dell’origine fisica della gravità, che rimane la più misteriosa e, in ultima analisi, la più determinante delle forze fondamentali della Natura, sarà in grado di offrire.
L’interpretazione della materia oscura nell’ambito del nuovo modello di gravità basato sulla dinamica della densità di energia
La reale origine della forza di gravità è una delle più importanti questioni in Fisica e, nonostante i numerosi sforzi concettuali compiuti finora, rappresenta un problema irrisolto. Lo stesso Newton, che per primo formulò la legge matematica della forza di gravità tra due corpi massivi, non fece alcuna ipotesi esplicita sulla natura fondamentale della gravità, lasciando sostanzialmente aperta la questione del meccanismo dinamico in grado di generare tale forza fondamentale. La formulazione della Teoria della Relatività Generale da parte di Einstein nel 1916 ha spostato il problema senza sostanzialmente risolverlo. Infatti, secondo l’interpretazione prevalente, nella Relatività Generale la gravità è dovuta alla curvatura del “tessuto” dello spazio-tempo, rappresentato come un “lenzuolo”, dovuta alla presenza di una massa. Tuttavia, questa costituisce una rappresentazione puramente matematica che non fornisce alcuna spiegazione sul meccanismo fisico che determina il moto di un corpo soggetto a un campo gravitazionale. Infatti, anche supponendo l’esistenza, nelle vicinanza della massa che origina il campo gravitazionale, di una superficie quadri-dimensionale curva (lo spazio-tempo appunto) questo non spiega perché una seconda particella inizialmente in quiete dovrebbe essere spinta a muoversi verso la massa sorgente. Certamente non possiamo dire che lo fa perché tende a muoversi verso il basso semplicemente perché non è possibile definire alcun concetto di “basso” se non dopo avere già assunto la presenza della gravità stessa. Di conseguenza, nonostante le verifiche matematiche della Teoria della Relatività, essa non fornisce una spiegazione fisica dell’origine della gravità della quale dovrebbe costituire invece proprio la teoria madre. Una nuova teoria della gravità, in grado di fornire concettualmente una tale spiegazione, è stata recentemente proposta da Luigi Maxmilian Caligiuri e Amrit Sorli. Tale modello, basato su una nuova concezione del vuoto quantistico caratterizzato da una densità di energia di natura elettromagnetica, interpreta la forza di gravità come dovuta alla differenza di densità di energia del vuoto quantistico determinata dalla presenza delle masse, dalla scala delle particelle elementari fino a quella dei Buchi Neri. In particolare, secondo questo modello, la presenza di una massa nello spazio fisico determina una riduzione di densità di energia del vuoto quantistico. In tal modo, nella regione di spazio fisico compresa tra due o più masse, il valore della densità di energia del vuoto risulta sensibilmente inferiore rispetto a quello che caratterizza lo spazio circostante, generando così una sorta di “pressione” del vuoto quantistico che spinge le due masse ad avvicinarsi, determinando in tal modo ciò che appare come attrazione gravitazionale. Questo modello, oltre a fornire una spiegazione sorprendentemente semplice del meccanismo dinamico all’origine della gravità, è in grado di suggerire l’origine della gravità “mancante” senza ricorrere all’introduzione di nuove particelle di materia come le WIMPs o ricorrendo a una modifica ad hoc della legge della gravitazione universale. Infatti, nel modello proposto, la dipendenza della forza di gravità dalla distanza non è rigidamente predeterminata ma dipende dalla distribuzione e dall’entità delle masse che compongono il sistema in esame. Inoltre sulla base del principio universale di conservazione dell’energia (e, conseguentemente, della densità di energia relativamente a un volume di spazio fissato), il modello prevede la possibilità che la densità di energia che rende conto della forza di gravità possa essere influenzata anche dalla presenza di contributi di densità di energia di natura diversa, quale ad esempio l’energia di natura elettromagnetica, suggerendo in questo modo una possibile spiegazione della sensibile dipendenza della velocità di rotazione delle galassie dalla luminosità delle stelle presenti. Per quanto il modello sia ancora in una fase preliminare di sviluppo, esso fornisce delle chiare indicazioni sulla possibile origine fisica della gravità, della materia e dell’energia oscura, evidenziando come la risposta ai più profondi interrogativi della Fisica sulla natura dell’Universo in cui viviamo possa essere ottenuta solo attraverso una riformulazione e una nuova comprensione dei concetti fondamentali, quali in primo luogo quello di spazio e di vuoto, evitando il ricorso a epicicli concettuali ma facendo sostanzialmente riferimento in maniera precipua ai principi e ai concetti di validità ed accettabilità universale, gli unici che, nel corso dei secoli, hanno costituito i presupposti di tutte le più importanti teorie scientifiche e che distinguono la scienza vera dai puri esercizi di immaginazione.