Galileo Galilei: grande genio italiano (prima parte)
Emanuele Cangini - 01/01/2016
Correva l’anno 1604 quando, il 9 di ottobre, Ilario Altobelli, marchigiano e maceratese di nascita, ordinato sacerdote nel 1585, volgendo al cielo il proprio sguardo, alla maniera acuta e attenta tipica del bravo astronomo qual era, fu tra i primi a scorgere la Supernova SN 1604 (battezzata poi Supernova di Keplero).
Evento epocale questo: uno “scoppio” di una potenza inaudita, a tal punto da poter essere visto a occhio nudo, pur essendosi verificato a distanze enormi. Prontamente informò l’illustre collega il quale, in soggiorno a Padova per motivi di docenza, subitamente ne raccolse la segnalazione per fondarne tre lezioni che terrà, pur non senza aspre critiche, presso l’ateneo in cui esercitava le proprie funzioni: sì, proprio lui, Galileo Galilei (1564-1642).
Galileo fondatore del metodo induttivo-deduttivo
Nato a Pisa, è a tutt’oggi ritenuto il fondatore della moderna scienza sperimentale, fondata sul metodo induttivo-deduttivo, e creatore di quella corrente di pensiero, vento in poppa stesso del galeone della fisica, per la quale l’indipendenza della scienza da ogni ideologia altro non è se non la condizione imprescindibile per una corretta e imparziale ricerca veritiera. La storia è testimone implacabile di quanto lo scienziato dovette pagare salato, sia in termini morali che umani, il prezzo delle proprie convinzioni, di fronte a una santa Inquisizione che, di mutare i propri paradigmi aristotelici, non ne voleva davvero sapere.
Galileo nasce da Vincenzo Galilei, musicista e commerciante, e Giulia Ammannati, originaria di Pescia in provincia di Pistoia. Nel 1581, il giovane venne immatricolato dal padre alla Università di Pisa nella facoltà di medicina, con la speranza e l’aspettativa che potesse emulare un omonimo antenato, medico illustre e personaggio di spicco della mondanità pisana. Egli però non dimostra quell’interesse e quella passione tanto auspicati in esordio, a tal punto da non ultimarne nemmeno il percorso formativo.
In parallelo alla cessazione dei mai ultimati studi medici, Galileo cominciò a occuparsi di matematica sotto la supervisione di un caro e dotto amico di famiglia: Ostilio Ricci, a sua volta discepolo dell’insigne Niccolò Tartaglia. Nel 1589 il granduca di Toscana, Ferdinando I, assegnò a Galileo la cattedra di matematica all’Università di Pisa, presso la quale resterà fino al 1592, anno nel quale otterrà collocazione meglio retribuita all’Università di Padova.
Ispirato da quel propizio clima di fervido fermento culturale, a tal punto da definire nel 1640 i suoi 18 anni trascorsi a Padova come i “più belli della propria vita”, allacciò diverse amicizie che furono assai feconde dal punto di vista della produzione scientifica: le ricerche sullo studio del moto subirono notevoli progressi, come fecero un deciso balzo in avanti le sue concezioni astronomiche che lo vedevano sempre più convintamente schierato a favore del sistema copernicano come modello di descrizione fedele del sistema solare (nonostante fosse tenuto, nei propri corsi, a illustrare il sistema tolemaico, o geocentrico).
Nasce il telescopio
Nel 1609 Galileo venne a conoscenza che modesti occhialai olandesi avevano costruito un “occhiale” capace di rendere visibili gli oggetti lontani e, avendone avuto qualche esemplare per le mani, ne intuì subito le formidabili implicazioni. Migliorandone le performance grazie a interventi mirati, si convinse a puntarlo verso il cielo: giunse così tra il 1609 e il 1610 alle prime famose osservazioni astronomiche delle quali darà notizia nel Sidereus nuncius, pubblicato il 12 marzo del 1610.
Nell’opera, Galileo aveva voluto esprimere la propria devozione verso i granduchi di Toscana, denominando “pianeti medicei” i quattro satelliti di Giove da lui scoperti. Le autorità romane, che da tempo osservavano con attenzione e sospetto l’attività dello scienziato pisano, sollecitate in particolar modo dall’ordine dei frati domenicani, si opposero con veemenza al suo operato, condannandolo nel 1616.
Tuttavia Galileo, incoraggiato dal successo di una pubblicazione del 1623, Il saggiatore, non “deporrà le armi” e, rinfrancato dalle caute simpatie di papa Urbano VIII, si accinse a riprendere i propri studi eliocentrici. Purtroppo, il vento dei destini propizi era destinato a mutare: correnti conservatrici avverse alle nuove idee progressiste presero il sopravvento in seno alle aule vaticane, determinando in tal modo un ritorno a posizioni ostili e di scomunica verso lo scienziato pisano. Galileo venne convocato a Roma e accusato formalmente di aver ottenuto con l’inganno l’imprimatur avendo dolosamente taciuto la diffida ricevuta nel 1616 dal cardinale Bellarmino.