Etichette: cosa sono i "novel foods"?
Domenico Battaglia - 01/01/2016
In materia di etichettatura degli alimenti, recentemente il disciplinare della comunità europea per la prima volta ha introdotto la dizione di “nanomateriali ingegnerizzati” fra gli ingredienti degli alimenti, definiti come “materiali prodotti intenzionalmente e caratterizzati da dimensioni dell’ordine dei cento nanometri, o addirittura inferiori, composti di parti funzionali distinte interne o in superficie, comprese strutture, agglomerati o aggregati che presentano proprietà caratteristiche della scala nanometrica”. Questi ingredienti vengono annoverati anche con la più accattivate dicitura di “novel foods”. Tecnicamente questi “nuovi cibi” verranno segnalati nelle etichette con la dicitura “nano” che sarà scritta tra parentesi.
Questo ci induce a dover assolutamente fare delle riflessioni in proposito: da quanto tempo questi nuovi cibi ingegnerizzati sono presenti nella nostra alimentazione a tal punto che la loro massima diffusione oggi prevede una loro menzione ed una loro “regolarizzazione” all’interno delle etichette dei cibi?
Sono molto incuriosito, come consumatore e anche come tutore della salute, dal fatto che questi cibi contengono “parti funzionali distinte interne o in superficie”: cosa vorrà significare?
Così descritta ai più potrebbe sembrare che ingurgitiamo “micro-robottini” con una precisa funzione da svolgere nel nostro corpo: ma a vantaggio di chi? Di sicuro non del nostro fisiologico benessere in quanto esseri umani. E inoltre: in quale quantità queste nanotecnologie sono presenti
nei cibi con cui ci alimentiamo? E con che finalità? Come al solito ci verranno segnalate le strabilianti proprietà salutari ed i possibili impatti positivi di questi cibi, magari in un futuro abbastanza prossimo potremmo scaricare una “App” per il nostro smartphone che ci dice, grazie alla presenza
dei nano-robottini, se abbiamo compiuto un gesto banale come l’aver deglutito. A parte il fatto che ognuno di noi sa benissimo se ha deglutito o meno, chi è interessato a conoscere quando abbiamo mandato giù un boccone? E a quali altre informazioni che provengono dal nostro corpo può essere interessato? Ed inoltre, se le informazioni “in uscita” sono interessanti per qualcuno, ci sarà qualcun altro che troverà ancora più interessante inserire nel nostro organismo informazioni, di certo non richieste? Vi sembra che questa sia fantasia fantascientifica? Direi di no, visto che quanto descritto accade oggi, nel nostro mondo occidentale, regolarmente e a norma di legge.
Con un poco di zucchero la pillola andrà giù? |
Oltre agli esempi negativi ci sono però da sottolineare esempi positivi o comunque tentativi coraggiosi di etichettatura chiara dei prodotti. Uno di questi è rappresentato in Italia, da alcuni alimenti presenti sugli scaffali di rivendite a prevalente indirizzo macrobiotico. Da questa proposta di etichettatura emergono tutti i dati (il luogo, il clima, il metodo di coltivazione e tutta la cronologia fino alla vendita) che consentono di individuare le caratteristiche e le qualità del prodotto con la descrizione sintetica di tutti i passaggi, dalla produzione al consumo, che risulta ben tracciabile. La completa tracciabilità della filiera è assicurata inoltre, dall’uso di bollini colorati che riportano un codice alfanumerico, consentendo al consumatore di eseguire verifiche sul prodotto che sta per acquistare.
Si rimanda al lettore l’approfondimento del vasto argomento con letture specifiche, anche reperibili on line gratuitamente.
Cosa possiamo consigliare dunque al consumatore per sopravvivere in questa giungla malsana?
Innanzitutto di rivolgersi sempre meno ad acquisti di alimenti industrializzati e se proprio non se ne può fare a meno, leggere attentamente le etichette prima della scelta.
Valorizzare i cibi biologici e prodotti con metodiche realmente biologiche perché sempre più spesso si sentono storie circa aziende che si fregiano di essere biologiche e che poi, guardando bene, non applicano o applicano solo in parte i disciplinari agro-alimentari imposti dalla legge.
Ricercare cibi prodotti nelle zone vicino al territorio di appartenenza (il famoso “Chilometro zero”), ma sempre senza abbassare la guardia riguardo all’attenzione circa la filiera dei cibi e le procedure di produzione e di trasformazione cui vengono sottoposti, infatti chilometro zero non è sinonimo sempre di cose buone e nutrienti.
Auspico che il cittadino-consumatore diventi sempre più parte attiva nel processo di controllo della qualità dei cibi, per esempio, nel dubbio è preferibile non acquistare prodotti di incerta provenienza e di cui si conosce poco il processo di produzione e/o trasformazione.
Se si leggono etichette poco fruibili o poco chiare o che in ducono confusione, si può semplicemente fotografarle (anche con il cellulare) e inviarle a comitati dei consumatori per valutarne l’esattezza e la legalità.
Inoltre, oggi più che mai, sentiamo parlare di “mercato” e ricordo che in questo termine siamo inclusi anche noi singoli cittadini. Se singolarmente, ma con unione di intenti, compiamo delle scelte ben precise nel senso della qualità dei cibi con i quali ci alimentiamo e con i quali vogliamo nutrire veramente i nostri figli, potremmo in poco tempo cambiare molte cose!
Tratto da Medicina Consapevole di Domenico Battaglia