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A spasso per la Valle della Morte


Sabrina Mugnos - 01/01/2016

Dalla Nuova Zelanda attraversiamo, ora, tutto l’Oceano Pacifico e approdiamo nel Nord America, per l’esattezza al confine tra la California e il Nevada. È qui, infatti, che ci attende il prossimo affascinante fenomeno di cui parlare, tanto singolare quanto misterioso.
L’ovest degli Stati Uniti è uno dei luoghi più incantevoli del pianeta. La natura è selvaggia, incontaminata e costellata di paesaggi da cartolina che si possono ammirare in tutta solitudine. Spesso si percorrono centinaia di chilometri in auto senza incontrare praticamente nulla, se non qualche desolata stazione di servizio, magari accompagnata da uno sgangherato motel.
Eppure, tra un deserto e l’altro, si può anche far rotta per gigantesche città all’avanguardia come Los Angeles, San Francisco o la mondanissima Las Vegas, un concentrato di costruzioni di sofisticata tecnologia gettate nel nulla. Se la si incontra di notte, per la prima volta, il tripudio di luci di cui è adornata trasmette la sensazione di trovarsi nel centro del mondo; ma quando l’alba impallidisce le luminarie, i suoi grandi e lussuosi resort si ridimensionano di colpo, e vengono inghiottiti letteralmente nei tremori dell’orizzonte brullo e desolato, già a pochi chilometri di distanza dal centro città.
Dirigendosi verso ovest, in poco più di un paio d’ore di macchina, si raggiunge il celebre parco naturale della Death Valley (Valle della Morte), famoso per ospitare, al suo interno, diversi primati (riferiti prevalentemente ai 48 stati contigui). Innanzitutto, con i suoi 13.628 chilometri quadrati, è il parco più esteso.
Inoltre, qui troviamo il punto più depresso, a Badwater Basin, collocato ad 86 metri sotto il livello del mare, ma anche la cima più alta raggiunta dal Telescope Peak, con i suoi 3.368 metri. Ed ancora in queste terre è stata misurata la temperatura più alta, si hanno le precipitazioni annue più basse, e per finire le dune di sabbia più alte.
La notorietà al luogo è dovuta anche dal film girato nel 1970 da Michelangelo Antonioni dal titolo Zabriskie Point, dove il regista ha mostrato agli occhi del mondo l’omonimo punto panoramico di indicibile bellezza e romanticismo, tuttora meta di tutti coloro che desiderano celebrare rituali o gesta amorose insieme al proprio partner.
I gioielli paesaggistici della Valle della Morte non finiscono certo qui. Anzi, l’intera area vanta una bellezza talmente unica da sembrare surreale. Giusto per suscitare un altro po’ di stupore nel lettore e stimolarlo, perché no, a far la valigia e partire, mostriamo un altro luogo che non a caso è stato chiamato Artist’s Palette (ovvero la tavolozza dell’artista). Si tratta di una serie di collinette colorate direttamente dal pennello di madre natura, le cui sfumature degradano l’una nell’altra. Certo è lecito domandarsi perché essa si sia sbizzarrita in questo exploit variopinto proprio in un luogo tanto estremo.


La straordinaria fantasia di colori che si può contemplare ad Artist Palette, nella Death Valley, è uno degli spettacoli più suggestivi di questo luogo.


La straordinaria fantasia di colori che si può contemplare ad Artist Palette, nella Death Valley, è uno degli spettacoli più suggestivi di questo luoL’autrice ripresa davanti al panorama mozzafiato dello Zabriskie Point, il luogo reso noto dall’omonimo film di Michelangelo Antonioni.

In realtà sono proprio le condizioni climatiche infernali del posto il mastro scultore di tali meraviglie. Qui la temperatura dell’aria può essere rovente, e nel 1913 ha toccato valori record di 57°C, accompagnata da quella del suolo di 94°C!
La prima volta che ho visitato la Death Valley, in agosto, non si scendeva sotto i 48°C, tanto che anche i corvi per strada erano sempre con il becco aperto, quasi boccheggianti, e quella poca sterpaglia di vegetazione era talmente secca che si sgretolava come fuliggine ad un semplice tocco. Figurate la mia gioia quando ho dovuto cambiare la gomma del mio fuoristrada, letteralmente esplosa, con il sole a picco! Anche nel ranch dove dormivamo la calura era insopportabile. Non c’era praticamente acqua fredda, ed emanava calore anche quella sul fondo della tazza del gabinetto (!). Fuori dal saloon dove si mangiava, nell’attesa di entrare, delle piccole fontanelle all’altezza della testa spruzzavano acqua (naturalmente tiepida).
Per non parlare, poi, della pioggia, che quando è generosa cade per non più di 5 centimetri annui. Queste condizioni infernali fanno sì che il suolo sia talmente arido che le rocce, ad un certo punto, quasi trasudano i minerali di cui sono costituite. In pratica sono letteralmente disidratate, spremute dal calore intenso. E i colori che vediamo non sono altro che l’impronta di taluni elementi chimici come il ferro, il rame, il manganese, ecc.
Ci troviamo, insomma, in uno scenario da paradiso terrestre alimentato da un vero e proprio girone infernale, letteralmente invivibile. Niente acqua, niente vita.
Non a caso il suo nome sembra fu coniato da svariati pionieri che, attraversandolo, dopo aver patito la fame e la sete per giorni e giorni, esultarono per esserne finalmente usciti.
Le condizioni climatiche estreme della Death Valley dipendono da processi geologici tuttora in atto, che continuano a farla sprofondare sotto la spinta di moti distensivi che avvengono in direzione Nord – Sud. L’effetto è stato quello di aver creato una sorta di fossa tettonica ancora in costruzione, incassata tra due catene montuose: la Amargosa Range ad Est e la Panamint Range ad Ovest.
Le montagne che la bordano, soprattutto la catena ad Ovest, bloccano le formazioni nuvolose che dall’Oceano Pacifico si muovono verso l’entroterra. Queste, nel momento in cui raggiungono il bacino, si sono già esaurite, facendo sì che piova pochissimo e, in alcuni anni, mai.
La sua forma depressa, poi, circondata da pareti alte e ripide, fa sì che non ci sia ricambio d’aria, ma un ciclo continuo di riscaldamento di quella che si innalza dal suolo, raffredda in quota, e precipita ancora, per essere nuovamente riscaldata in quanto impossibilitata a superare i rilievi montuosi.
Insieme all’aria sono rimaste intrappolate, da millenni, parecchie forme di vita che prima sguazzavano in laghi ricolmi di acqua fresca e cristallina, ma poi hanno dovuto adattarsi all’habitat proibitivo che si veniva creando. Ma gli stenti cominciano a diventare insostenibili, ed alcune, come determinate specie di pesci, sono a rischio estinzione.
Come del resto faticano a sbarcare il lunario anche gli animali a noi più familiari, come rettili, uccelli e mammiferi vari tra cui spicca il magnifico coyote, uno degli incontri più comuni che si possono fare nel luogo, ma non per questo meno emozionante.
Ecco, tutto questo è la Valle della Morte. Un luogo proibitivo che in passato ha visto morire centinaia di uomini nel tentativo si sfidarlo per estrarre le sue preziose risorse minerarie (tra cui l’oro e l’argento), ma anche ricolmo di bellezza e brulicante di quelle forme di vita caparbie e tenaci (dove spiccano i microrganismi estremofili, ovvero adattati a vivere in condizioni ambientali estreme) che sono i veri giganti dell’evoluzione, capaci di tenere testa agli umori imprevedibili del nostro pianeta.
In un luogo tanto impervio e desolato, lontanissimo da occhi indiscreti, non poteva che consumarsi uno straordinario quanto misterioso fenomeno geologico, che ancora oggi tiene in scacco studiosi e curiosi. Parliamo della danza di decine di pietre sul letto di un remoto lago prosciugato, proprio nel cuore della Valle della Morte. Il luogo si chiama Racetrack Playa e le sue pietre erranti sono le Sliding Stones.
Ma di loro  parleremo nel prossimo appuntamento su Scienza e Conoscenza n. 39.

 


Scritto da Sabrina Mugnos
Geologa, ha studiato e visitato decine di vulcani in giro per il mondo attraverso esplorazioni avventurose e talvolta estreme. Si occupa da tanti anni anche di astrobiologia e di Archeoastronomia. Il suo libro, I maya e il 2012, Indagine scientifica (Macro Edizioni), sta riscuotendo un grande successo in Italia e in diversi paesi stranieri. Impegnata in corsi, seminari e convegni a respiro internazionale, è spesso ospite di trasmissioni televisive e radiofoniche.
Per maggiori informazioni: www.sabrinamugnos.com.


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Sabrina Mugnos
Geologa, ha studiato e visitato decine di vulcani in giro per il mondo attraverso esplorazioni avventurose e talvolta estreme. Si occupa da tanti... Leggi la biografia
Geologa, ha studiato e visitato decine di vulcani in giro per il mondo attraverso esplorazioni avventurose e talvolta estreme. Si occupa da tanti anni anche di Astrobiologia e di Archeoastronomia. Il suo libro, I maya e il 2012, Indagine scientifica (Macro Edizioni), sta riscuotendo un grande successo in Italia e in diversi paesi stranieri.... Leggi la biografia

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