Menopausa: il rischio oncologico degli estrogeni
Benessere Donna
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Gli estrogeni diventano cancerogeni se prodotti in grande quantità e provocano un aumento di trombofilia e insufficienza venosa. Diversi studi scientifici ce lo dimostrano
Redazione - Scienza e Conoscenza - 30/01/2019
Estratto dal libro Menopuasa la via naturale, Stefania Cazzavillan
A metà degli anni ’50 del Novecento l’estrogeno è stato classificato come carcinogeno come, d’altra parte, sono stati identificati carcinogeni chimici ad azione estrogenica. Un eccesso di estrogeni determina necrosi tissutale; quantità inferiori, ma ancora eccessive per l’organismo, determinano trasformazione neoplastica. Quindi l’estrogeno aumenta con l’età, o meglio con l’avanzare degli anni si accresce la dominanza estrogenica.
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Studi su modelli animali avevano dimostrato la tossicità di un eccesso di estrogeni (anche sotto forma di pillola estro-progestinica), che aumentava il rischio di sviluppare numerose condizioni patologiche per continuo stimolo ipossico e proliferativo. Nel cane, ad esempio, la pillola anticoncezionale era altamente cancerogena. Allora vennero adottati i ratti come modelli, ma questi morivano con tessuti ancora giovani, mentre lo stimolo estrogenico creava danni nel tempo; erano veramente i modelli adatti da utilizzare?
Uno studio del 2000 ha dimostrato che nella donna la dominanza estrogenica correla con una aumentata presenza di grasso tissutale (sovrappeso e obesità), che a sua volta è correlata alla riduzione della funzionalità dei tessuti nell’invecchiamento. Il tessuto adiposo ha infatti elevati livelli di aromatasi e può contribuire a produrre estrogeno tissutale. È stato valutato che la produzione di estrogeno nella donna in forte sovrappeso è dieci volte superiore rispetto alla donna normopeso.
L’estrogeno rilassa i vasi e aumenta i livelli di ossido nitrico (NO), che a dosaggi elevati diventa un radicale libero. Un eccesso di estrogeni e di NO determina un aumento di trombofilia e insufficienza venosa e predispone a embolia polmonare e a ictus. Tali effetti sono stati dimostrati da studi di follow up sull’uso della terapia sostitutiva. Inoltre, pur aumentando il flusso sanguigno, il livello di ossigeno non esaudisce la richiesta da parte degli organi, come dimostra il colore dei tessuti estrogenati che da rosa diventa porpora: gli estrogeni riducono la disponibilità di ossigeno. Quando l’estrogeno è in eccesso, la carenza di ossigeno e la richiesta di energia da parte dei tessuti determina un richiamo di nuovi vasi (angiogenesi) e uno spostamento dalla respirazione mitocondriale alla glicolisi, che ha come effetto collaterale da una parte l’accumulo di acido lattico che intossica e infiamma i tessuti e dall’altra la produzione di molta meno energia cellulare (ATP).
Negli anni Trenta del Novecento, il Nobel Otto Warburg già da noi menzionato fece una serie di esperimenti di deprivazione di ossigeno alle cellule e dimostrò che sottraendo a una cellula il 60% di ossigeno per 48 ore si ottiene la sua trasformazione neoplastica. La riduzione di livelli di ossigeno del 35% aumentava invece il rischio di trasformazione neoplastica.
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Possiamo ben vedere il parallelismo con la deprivazione di ossigeno indotta dall’eccesso di estrogeno e la sua correlazione con un aumentato rischio di trasformazione cellulare. Se la riduzione di ossigeno tissutale persiste si innesca il cosiddetto “effetto Warburg” ossia il mantenimento di un metabolismo anaerobico anche in presenza di ossigeno, dovuto all’attivazione dell’espressione genica del gene HIF-1 (hypoxia inducible factor-1) che, a sua volta, determinerà l’inattivazione di geni coinvolti nel ciclo di Krebs che così non può più avvenire. Parallelamente, l’aumento di stress ossidativo danneggerà i mitocondri, che perderanno la loro funzionalità. Questi meccanismi, che sono una forma di adattamento a situazioni di alterati livelli di ossigeno tissutale, sono correlati a induzione e progressione tumorale.
Tutti questi fattori insieme determineranno modificazioni a livello epigenetico e biochimico, ossia strategie di adattamento che spesso coinvolgono varie tipologie cellulari, come nell’esempio riportato di carcinoma mammario. Le cellule di carcinoma mammario sono immerse in una matrice di cellule stromali e di adipociti. Insieme ai macrofagi e ai linfociti, tutte queste cellule contribuiscono a creare un sistema di segnali che porta all’aumento delle citochine proinfiammatorie e della produzione di estrogeno tissutale, che favorirà la proliferazione delle cellule tumorali. In pratica, si crea un “microambiente tumorale” che permette alle cellule trasformate di proliferare più agevolmente arruolando anche cellule “sane”.
Ciò non avviene quando l’estrogeno è in equilibrio con il progesterone, che aumenta il metabolismo ossidativo e la respirazione mitocondriale: in condizioni di equilibrio i tessuti “respirano” meglio e hanno più energia disponibile.