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Le emozioni del bambino durante la gravidanza

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Daniela Gavazzi - 01/01/2016

Nel film 2001 Odissea nello spazio Stanley Kubrick ripercorre tutti i passaggi dell’evoluzione della vita su questo pianeta come processo necessario a rinnovare la meraviglia, lo stupore, ma anche a stimolare una rinnovata attenzione alla vita così come si presenta a ciascun uomo e a ciascuna donna nella sua interezza. Che cos’è il nostro esserCi se non un eterno accorgersi della vita intorno e della vita dentro? Ogni nostro gesto, ogni nostro pensiero, le nostre azioni, anche le più semplici, da dove originano, da cosa sono motivate? Noi siamo liberi così come crediamo? Chi siamo noi? Chi sono io? Perché un odore può dare fastidio e un altro può suscitare una commozione, perché alcune persone compiono gesti che suscitano dei ricordi, perché fumo, perché mangio troppo o troppo poco e così via? Ognuno di noi potrebbe campionare tranquillamente tutta una serie di comportamenti propri o degli altri a cui è consapevolmente sensibile e da cui è inspiegabilmente attivato a livello emozionale, secondo vari gradienti, fino ad arrivare, talvolta, a essere bloccato nell’agire a causa del proprio modo di “sentire” la realtà. Joaquin Grau descrive questo mondo emozionale, talvolta così travolgente, come “verità sentita” e la definisce coraggiosamente come l’unica verità”.

E ipotizza, così come tanti altri autori, che molte delle azioni, pensieri, scelte che le persone compiono in età adulta siano il necessario svolgersi di una sinfonia le cui note primordiali sono state tutte scritte, sotto dettatura, dal concepimento alla nascita, e successivamente nei primi anni di vita. Nostro malgrado ci troveremmo cioè costretti a sviluppare nella nostra esistenza tutta una serie di comportamenti per rinnovare l’attenzione emozionale necessaria alla risoluzione o alla compensazione delle condizioni traumatiche che si sono presentate dal concepimento alla nascita e successivamente almeno nei primi anni di vita. Grau definisce queste condizioni con l’acronimo “CAT”, cioè Cumuli Analogici Traumatici: le prime note, il primo deposito nella memoria cellulare, di emozioni qualitativamente e soggettivamente dolorose e quindi non pienamente ascoltate o respinte come “sentire”. Ovvero ipotizza come presupposto di partenza per un percorso di comprensione e superamento, la possibilità di attivare una consapevolezza di noi nell’attraversamento delle nostre emozioni, quando percepite come dolorose e spiacevoli.


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L’universo emozionale del bambino

Questa riflessione, che non vuole essere un’affermazione, bensì uno stimolo di ricerca, ci può portare a riconsiderare tutto il processo, dal concepimento alla nascita, come interregno di sviluppo e deposito dei primi nuclei traumatici emozionali a carico della memoria cellulare dell’embrione, del feto e poi del bambino. Come sappiamo, il primo aggregato di cellule nel grembo della madre non pensa, perché non ha a disposizione un sistema nervoso centrale maturo, ma è suscettibile alle emozioni della madre che inconsapevolmente trasmette il suo sentire piacevole o spiacevole al tutto in potenza, ma ancora indifferenziato, che ospita all’interno del suo corpo e che sta diventando, giorno dopo giorno, il “suo” bambino. Durante la gestazione, madre e bambino costituiscono un tutt’uno emozionale in cui la madre processa il suo sentire, ovvero lo comprende e lo trasforma, mentre l’embrione – poi feto e bambino – ne viene impregnato mantenendo nella propria memoria profonda l’emozione, la quale potrà poi successivamente riemergere in età adulta in presenza di situazioni emozionalmente analoghe. Il bambino cresce, si sviluppa e apprende fino all’età di circa sette anni sostenuto da processi di pensiero tipicamente definiti come analogici e prelogici, mantenuti dalle onde cerebrali theta, caratteristiche dell’emisfero cerebrale destro.

La fondamentale differenza di questa modalità di apprendimento rispetto a quella fondata su processi logici e razionali (che appartengono all’emisfero sinistro e che si muovono sulle onde beta, più veloci) che si sviluppano nel corso della crescita e dominano la vita adulta, consiste nel fatto che il bambino si muove, in questo periodo della sua esistenza, in una dimensione in cui non è il nesso causale a costruire il suo universo di conoscenza, bensì quello analogico. Le cose, le esperienze, si richiamano perché riconducono allo stesso vissuto emozionale e non perché sono simili per caratteristiche oggettive: è la qualità dei vissuti a generare i nessi che costituiscono il mondo in cui il bambino vive. Un’esperienza emozionale di abbandono, ad esempio, può essere vissuta in diverse circostanze e per motivi completamente diversi, ma tutto ciò, per l’emisfero cerebrale destro, che è l’archivio delle nostre emozioni, non riveste alcuna importanza. Ciò che conta è che il bambino, in quel momento, anche in una circostanza oggettiva radicalmente diversa, si trova a esperire nuovamente quella emozione. Né va dimenticato che il bambino, nella pancia della mamma e in diversa misura fino a circa due anni, non distingue tra le sue emozioni e quelle che gli provengono dal quel sé più grande che per lui è l’unico universo esistente: la madre. Fino all’età di sette anni il bambino non riesce a produrre i primi tentativi di ragionamento formale, cioè consequenziale, secondo un punto di vista logico, tant’è che per poter comunicare con lui ci riferiamo alla necessità di utilizzare linguaggi magici e analogici, tipicamente utilizzati nelle fiabe, nelle ninne nanne e nelle cantilene. Fino all’età di sei anni circa, è impossibile consolare un bambino che piange perché ha avuto paura del rumore di un aereo che sta passando nel cielo, o delle urla di persone che discutono fra loro. Inutile convincerlo a parole di non aver paura e che questi stimoli non lo riguardano e che tantomeno sono pericolosi per lui: egli li percepisce come un cucciolo indifeso nella foresta, che non sa interpretare correttamente la realtà che  o circonda e che prova potenzialmente paura per tutto. Conviene invece abbracciarlo, coccolarlo, accarezzarlo, cioè fargli “sentire” attraverso l’esperienza fisica, un’emozione gratificante e piacevole, per scacciare l’esperienza spiacevole dal suo qui e ora. Il bambino vive costantemente nel presente. Dai sei o sette anni in poi, con la maturazione del pensiero logico sostenuto dalla maturazione delle onde cerebrali beta, il bambino è in grado di “leggere” la realtà e di “discernere”, acquisendo una risorsa di protezione per il mondo emozionale. È caratteristica del pensiero beta l’analizzare, dividere, distinguere e selezionare. Non a caso in questa fase di sviluppo del bambino si stabilizzano ed entrano a far parte della sua esperienza concreta i concetti di tempo, spazio, io, mio, e il linguaggio verbale viene utilizzato stabilmente come strumento di comunicazione col mondo esterno.



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Comprendere i nuclei emozionali traumatici

A partire da questo impianto, quali sono le risorse reali che consentono di fronteggiare lo sviluppo di contesti emozionali disfunzionali o addirittura dannosi per il benessere della persona? Grau definisce e riunisce l’insieme di queste risorse nell’Anateoresi, che non è una disciplina o una scienza esatta, bensì un’esperienza del soggetto, affettivamente ed emozionalmente presente a sé e che consapevolmente ricontatta i propri nuclei emozionali traumatici per risentirli in modo consapevole anche a livello fisico. Questa riconnessione permette di ricondurre quei nuclei a un contesto che viene visto, sentito, attraversato, in una parola compreso: finalmente theta può parlare a beta, e l’esperienza dolorosa può essere integrata dai due emisferi, il destro e il sinistro, e dai due linguaggi – logico e analogico – e diventare bagaglio di esperienza vissuta e sapienza reale da trasformare in accresciuta consapevolezza ed equilibrio della persona. Nel percorso dell’Anateoresi è l’operatore ad accompagnare la persona in questo incontro con parti di sé, attraverso un rilassamento profondo a onde theta in un’esperienza di soglia da cui affacciarsi consapevolmente sui contenuti emozionali nascosti, celati e dimenticati, ma ricontattati con l’utilizzo di linguaggi specifici, squisitamente analogici. L’Anateoresi mette quindi a disposizione due esperienze reali: un rilassamento profondo, che prende il nome di “induzione allo stato regressivo anateoretico” e il dialogo anateoretico, modalità di accompagnamento all’esperienza. Sono questi gli strumenti che contraddistinguono la prassi anateoretica da altre tecniche di supporto alla persona per il proprio benessere.

 

Sviluppo emozionale in utero un percorso per mamme in attesa
Questo percorso riguarda le persone adulte che decidono di affrontare eventuali nodi irrisolti, di natura fisica o emozionale, che avvertono presenti in loro. La domanda da porre a questo punto però è: come intervenire preventivamente per contenere, ridurre, governare l’impatto emozionale traumatico sul figlio in gestazione? A questo scopo è stato ideato, costruito e sperimentato il percorso prenatale rivolto alle mamme in attesa. La mamma che prende coscienza della relazione che esiste tra quello che vive personalmente e quello che si trova a vivere il bambino, può, prima di tutto, con questa consapevolezza, cercare di evitare, per quanto possibile, impatti emotivi forti e stress particolari, sia psichici che fisici. A un livello più profondo, però, può andare a ritrovare o a riscoprire la forte connessione di natura percettiva ed emozionale che da sempre ha in sé, in nuce, col proprio bambino, ma di cui non sempre è consapevole, e che ruota intorno a due elementi fondamentali: la trasmissione di amore e la trasmissione di presenza, di esserci.

Queste due chiavi, apparentemente “ovvie”, certamente naturali, e assolutamente sufficienti, costituiscono a un livello profondo la base su cui il bambino ha la possibilità di costruire una biografia emozionale equilibrata e serena. Grau articola il percorso prenatale intorno al contatto percettivo con il bambino, che apre a un ventaglio molto ampio di esperienze da vivere insieme – mamma e bambino – e che sono tutte di natura gratificante. In questa dimensione la cosa più importante è che la madre possa trasmettere amore in maniera profonda e consapevole, scoprendo una possibilità di comunicazione e scambio a cui lei sola può accedere, facendo percepire al bambino il fatto di essere costantemente accanto a lui, e di trasmettergli amore e presenza. Questo tipo di contatto percettivo-emozionale può essere ritrovato attraverso alcune sedute di Anateoresi prenatale per poi, una volta compreso, essere esperito e rivissuto in qualunque momento della giornata dalla madre stessa, senza bisogno di altro sostegno se non quello della fiducia in se stessa e della sua capacità di “sentire” il suo bambino.

 

Chi è Joaquin Grau
Laureato in Scienze dell’Informazione all’Università di Madrid, fin dai primi anni dei suoi studi ha concentrato l’attenzione sui diversi stadi percettivi della mente umana e sulle diverse forme di comunicazione. A partire dagli anni Settanta ha creato l’Anateoresi, che si presenta come una disciplina di radice antropologica che ha un forte legame anche con l’osservazione sul campo dei comportamenti e dei linguaggi analogici preservati in modo incontaminato dalle comunità Auca dell’Amazzonia ecuadoriana. Questo incontro gli ha fornito la base esperienziale su cui fondare le modalità di dialogo analogico per contattare esperienze accadute, ma dimenticate nell’età preverbale dello sviluppo della mente. Vive e lavora a Madrid. In Italia delle sue opere è stato pubblicato il volume Le chiavi della malattia. Trattato teorico-pratico di Anateoresi (Servitium, 2006).
Per informazioni:
www.grau-anatheoresis.com
www.percorsiconsapevoli.it



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