Il cancro e la ricerca del senso perduto: cellule staminali e nuovi approcci alle malattie tumorali, di Pier Mario Biava
Pier Mario BIava - 01/01/2016
Negli ultimi tempi stanno succedendo alcune cose molto importanti nel campo della ricerca sul cancro. Molti esperimenti stanno evidenziando che l'aggressività e l'invasività di diversi tipi di tumore sono dovuti alla presenza nel loro contesto di cellule staminali alterate: lo si è iniziato a capire con alcuni tipi di leucemia, quali la leucemia mieloide acuta e poi, man mano, anche con altre forme di tumore, quali quello della mammella, del cervello, del pancreas del colon, del polmone, dell'ovaio, della prostata, della vescica, il melanoma, sarcoma etc. Queste ricerche hanno avuto molta eco anche nella stampa non specialistica, tant'è che il numero dell'Economist uscito il 13 settembre 2008 riportava in copertina a tutta pagina il titolo “Cancer and Stem Cells. The connection that could lead to a cure”(cancro e cellule staminali. La connessione che potrebbe portare ad una cura, ndt). All'interno in diversi articoli veniva ricordato che tale scoperta, pur se ancora non aveva portato ad alcuna terapia, poteva essere paragonata a quella delle onde radio, a quella della formulazione dell'equazioni di Maxwell, che unificavano elettricità e magnetismo, a quella degli antibiotici.
Debbo dire che quello che sta avvenendo mi fa estremo piacere, perché finalmente anche la comunità scientifica internazionale si sta accorgendo di ciò che sta alla base delle malattie tumorali: la presenza di cellule staminali mutate. E' questo esattamente il filone di ricerca, che da oltre 20 anni sto perseguendo, dapprima in modo assolutamente isolato e poi, ma solo abbastanza recentemente, con collaboratori sempre più convinti ed entusiasti: ad esempio oggi queste ricerche vengono effettuate da me con molti altri ricercatori in tre diversi dipartimenti dell'Università “La Sapienza” di Roma.
Le ricerche effettuate con i vari collaboratori sono state ripetute numerose volte ed hanno portato a risultati sempre identici. Esse, partendo dal concetto che le cellule tumorali sono cellule staminali mutate, hanno portato ad individuare specifici fattori di differenziazione, che hanno dimostrato di essere in grado di rallentare od inibire la crescita di diversi tipi di tumori umani in vitro. I fattori isolati esattamente nel momento in cui negli embrioni di ovipari (è stato scelto l'embrione di zebrafish, un pesciolino tropicale, come modello di studio del differenziamento cellulare) si differenziano le cellule staminali, ad esempio da totipotenti a pluripotenti, sono stati sperimentati su otto tipi di tumori umani in vitro: tumore del cervello, del rene, della mammella, del colon, dell'utero, del fegato, nel melanoma e nella leucemia linfoblastica acuta.
A dette ricerche vanno aggiunte quelle effettuate a livello clinico: il vantaggio di aver percorso da lungo tempo la via della ricerca incentrata sul rapporto fra cellule staminali e cancro ha infatti permesso di concepire una iniziale terapia, che è stata sperimentata in uno studio clinico controllato, randomizzato, durato 40 mesi (dal 1° gennaio 2001 al 31 Aprile 2004) su 179 casi di tumori primitivi del fegato in fase avanzata. I risultati di tale studio sono stati molto interessanti e sono stati pubblicati nel 2005 su Oncology Research. Orbene tutte queste ricerche sono presenti in un libro, uscito recentemente in Italia: >>>Il Cancro e la Ricerca del Senso Perduto (Springer edizioni).
Nel libro, per facilitarne la lettura e rendere più leggero l'argomento, percorro un pezzo di storia personale che mi ha portato all'inizio degli anni 80 del secolo scorso, a intraprendere le ricerche sul rapporto tra cellule staminali e cancro. Il libro in realtà non è autobiografico. Gli elementi autobiografici sono essenziali per introdurre il lettore a comprendere in modo quasi naturale e spontaneo gli aspetti finora oscuri del cancro. Il libro infatti ha come scopo principale quello di far capire cosa sono le malattie tumorali: in esse cerco di accompagnare il lettore, attraverso le intuizioni e i ragionamenti personali, oltre che attraverso gli esperimenti effettuati, a capire i segreti di queste malattie. Quello che viene proposto, infatti, è un modello di cancro, in cui tali malattie smettono di essere eventi oscuri, di cui non si comprendono le alterazioni fondamentali, e tutto risulta sufficientemente spiegato.
I processi che conducono al cancro risultano chiariti e ciò ha permesso di concepire nuovi approcci terapeutici, soprattutto nel campo delle terapie di differenziazione, volte ad “educare” le cellule tumorali ad evolvere verso un normale sviluppo. Invece che essere distrutte in una guerra molto rischiosa e pericolosa, esse vengono indirizzate a differenziarsi o a morire in modo spontaneo. I nostri esperimenti hanno infatti dimostrato che, a seguito del trattamento con i fattori di differenziazione, le cellule tumorali invertono verso un fenotipo normale, oppure vengono indotte a morire spontaneamente. Si è così dimostrato che i tumori sono, in un certo senso, malattie reversibili e che le cellule tumorali possono ritornare alla normale fisiologia, by-passando le mutazioni che sono all'origine della malignità. Il libro però non ha solo lo scopo di far capire cosa sono le malattie tumorali, ma cerca di affrontare anche gli ostacoli che si frappongono alla piena comprensione di tali malattie.
Esso, da un lato sottopone a critica stringente il modello riduzionista, che caratterizza la ricerca scientifica specie nel campo bio-medico, dall'altro pone le premesse per fondare un paradigma scientifico, che interpreti meglio la realtà nella sua complessità. Di ciò si è reso perfettamente conto Ervin Laslo, che ha scritto una bellissima prefazione al libro, che mi ha fatto estremo piacere e mi ha profondamente commosso. Il modello riduzionista di ricerca scientifica attraverso lo studio dei meccanismi puntuali perde di vista l'insieme della realtà e non permette di comprendere le caratteristiche essenziali, che sono alla base della trasformazione maligna. D'altra parte è ormai chiaro agli stessi riduzionisti che gli effetti puntuali studiati utilizzando singole molecole valgono relativamente ai contesti in cui tali molecole sono usate. Così un fattore di crescita embrionario si comporta come tale in un dato contesto, ma si comporta come fattore di differenziazione in contesti diversi: molte molecole si comportano come Giano bifronte.
A questo punto, risulta chiaro che gli studi sui singoli punti, cioè sui singoli geni, piuttosto che sui singoli recettori o sui singoli meccanismi d'azione vanno relativizzati, mentre si devono valutare con molta più attenzione gli studi dei contesti e delle relazioni. D'altra parte proprio gli studi sui processi di differenziazione cellulare danno luogo attualmente a una visione, da cui emerge con forza un modello di complessità, nel quale reti biologiche robuste, e non un processo di informazione lineare, portano le cellule staminali verso paesaggi conformazionali, che le incanalano sempre di più verso la definitiva differenziazione.
[Leggi l'articolo completo su Scienza e conoscenza n°26, pag. 62]