Affrontare la morte: se ne parla nel nuovo libro di Joan Halifax
Consapevolezza e Spiritualità
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La morte ci spaventa in quanto rapprasenta l'ignoto, lo sconosciuto. Quando essa si avvicina, entriamo nella terra del non sapere. Joan Halifax, nel suo libro Abbracciare l'infinito, ci avvicina al tema e al momento della morte come rito di passaggio, e ci insegna come affrontarlo
Redazione - Scienza e Conoscenza - 11/06/2018
Il seguente brano è tratto dal libro "Abbracciare l'infinito" di Joan Halifax edito da Pendragon, per gentile concessione dell'editore.
Il viaggio nell’essere con il morire, per molti di noi, ha inizio con la diagnosi di una malattia, che può essere la nostra oppure quella di un amico o di un parente: Alzheimer, cancro, diabete, un problema al cuore. Per altri ha inizio con la perdita di un figlio in guerra, con l’uccisione della figlia nel giardino di scuola o con la morte di un minatore sotto il crollo della terra. La morte, improvvisamente, ci spinge in un territorio inesplorato: lasciamo alle spalle tutto ciò che è familiare e ci muoviamo verso lo sconosciuto. Nel buddhismo si dice che siamo chiamati nel luogo del “non-sapere” o “mente del principiante”.
Nell’essere con il morire, incontriamo così il “non-sapere”, nonostante i nostri sforzi per progettare e controllare ogni cosa.
Ci chiediamo: cosa si sente quando si muore? Soffrirò? Sarò solo? Dove andrò dopo la morte? Sarò dimenticato? Sarà un sollievo?
Quando ci poniamo queste domande, il nostro “non-sapere” è ormai nato, poiché noi, in verità, non potremo dar loro una risposta.
Questo primo principio, “non-sapere”, può apparirci strano, perché nel nostro mondo il sapere concettuale è tenuto in alta considerazione. Tuttavia, in molte altre culture la sapienza è equiparata non al conoscere, ma all’apertura del cuore. Ci sono molte cose che non possiamo conoscere concettualmente: come sarebbe possibile prevedere ciò che accadrà nel momento successivo a quello presente?
Il processo di allontanamento da ciò che è prevedibile e abituale viene chiamato dall’antropologo Arnold van Gennep “separazione”,
e costituisce la prima fase nei riti di passaggio, condizionamenti: è una mente che non è attaccata a idee fisse su noi stessi o sugli altri. Una mente coraggiosa, capace di separarsi dal terreno familiare delle attività mentali e di restare nella realtà silenziosa delle cose così come sono, e non come si pensa debbano essere.
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Il principio del “non-sapere” riflette le potenzialità che ogni essere umano ha di risvegliare una mente aperta e chiara: è la mente saggia dell’illuminazione al contempo infondata, profonda, trasparente, inconcepibile, penetrante.
La vera natura della nostra mente è come un grande oceano, illimitato, naturale e completo così com’è.
Molte persone scelgono di vivere in una piccola isola in mezzo a questo grande oceano per sentirsi sicure e trovare dei punti di riferimento nelle cose familiari. Così facendo dimenticano, però, di guardare oltre il proprio territorio, solo apparentemente
stabile e sicuro, e di aprirsi verso l’immensità di ciò che esse sono realmente.
Quando moriamo, gli ormeggi che ci ancorano alla nostra vita si liberano e così ci muoviamo in acque sconosciute, lontano dalla nostra terra familiare. Come ci ricorda André Gide, non possiamo scoprire nuove terre fino a che non perdiamo di vista, per un lungo periodo di tempo, la costa da cui siamo partiti. Questa è la natura della morte: abbandonarsi allo sconosciuto, liberarsi dagli ormeggi e aprirsi all’immensità di ciò che realmente siamo.
Il brano appena letto è tratto dal libro "Abbracciare l'infinito" di Joan Halifax edito da Pendragon, per gentile connessione dell'editore.
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