Perché è importante dire la verità a chi sta morendo?
Consapevolezza e Spiritualità
Consapevolezza e Spiritualità
A differenza di quanto comunemente si crede, dire la verità sulle sue condizioni a una persona che sta morendo non la condanna a una a una tristezza ineluttabile. Al contrario può rivelarsi un atto liberatorio che consente alla persona di trascorrere in pace e in gioia gli ultimi momenti della vita, riallacciando i rapporti interrotti e riappacificandosi con il mondo
Redazione - Scienza e Conoscenza - 02/01/2023
Tratto dal libro Gli ultimi giorni della vita.
Troppo spesso, durante la fase terminale della vita, la verità su una diagnosi, una prognosi o un trattamento viene tenuta nascosta al morente. Questo genera la tendenza a tenere nascoste le informazioni, all’offuscamento della verità e alla segretezza: tutti fattori che non fanno altro che aumentare l’isolamento e la sofferenza emotiva di una persona giunta alla fine dei suoi giorni. I medici hanno una grande parte di colpa nell’elusione della verità, perché hanno la responsabilità d’informare i pazienti della loro prognosi: una responsabilità che essi eludono parlando di speranze, di percentuali di risposta e di ultimi ritrovati in fatto di cure.
Ma la fobia della morte è inestricabilmente intessuta nella trama della società occidentale, quindi è difficile incolpare un malato terminale e una famiglia se rifiutano la verità e si aggrappano ai miracoli.
Quando la famiglia nasconde la verità alla persona morente, cerca di proteggerla dalla depressione o, peggio, dalla disperazione. I familiari vogliono che il loro congiunto continui a sperare e ad assaporare gli aspetti della vita che riescono ancora a dargli piacere o gioia. Ho udito molti parenti pronunciare parole come queste: "La verità non farebbe altro che insinuare in lui/lei il pensiero fisso della morte. Preferisco che si goda il tempo che gli/le resta da vivere. E se il prezzo da pagare per questo sta nel falsificare la verità o addirittura nel dare informazioni sbagliate, pazienza".
Ma questo modo di pensare si basa su un insieme di falsi presupposti. Prima di tutto, la verità, per quanto amara e difficile possa essere, non condanna una persona a una tristezza inappellabile. Al contrario, la verità può rivelarsi liberatoria: inizialmente può causare sofferenza, ma accettare di dover morire alla fine può ispirare un profondo lavoro spirituale e la riconciliazione nei rapporti.
Quasi tutti coloro che ho seguito durante il processo di morte alla fine si sono resi conto che la verità funziona molto meglio del restare aggrappati al silenzio e al diniego. La verità libera le persone permettendo loro di compiere su di sé un lavoro di guarigione, di farsi carico dei loro ultimi giorni di vita e di creare lasciti durevoli. Eludere la verità crea solo una facciata di normalità, che blocca i rapporti interpersonali e che, dopo la morte, lascia alla famiglia un senso di vuoto e di rimpianto.
Una delle giustificazioni più frequenti che si danno per mentire al morente è che la verità gli porterebbe via la speranza, lasciandogli solo la paura e la depressione. Ma questo non è affatto ciò di cui sono stato testimone, come assistente sociale e come doula. In effetti, ritengo che la gente abbia una visione capovolta della realtà. Quando le famiglie mentono ai loro cari in fin di vita (e a se stesse) creano più sofferenza e peggiorano le cose.
Tratto dal libro Gli ultimi giorni della vita.