Il vuoto quantico di Nikola Tesla
Vittorio Marchi - 01/01/2016
Tratto da La Scienza dell'Uno (Macro Edizioni, 2007).
“Quando capisci che cos’è l’eternità” – diceva il saggio Kabat Zinn, “dovunque tu vada, ci sei già”.
E l’eternità, come abbiamo visto fin dalle prime note di questo libro, non è il “primo giorno” della creazione, bensì il “Giorno Uno”. Il Dies, Deus, “Djos” (in sanscrito), e poi definitivamente il Dio (Unico, o Essente) persino dei D.D., abbreviazione dei “Doctor of Divinity”, cioè dei laureati in Teologia, per i quali D.D. significa invece il “Dio Duale”, separato dalla sua creazione, o il “Dio della Delusione”.
Questa differenza di impostazione è stata poi quella che ha causato la piaga pandemica dell’umanità: concepire Allah, Jahveh, Bhagavan o Isvarah, Tao, Logos, Brahman, Atman, l’Assoluto, Mana, Spirito Santo, Weltgeist, o semplicemente Dio, come un Dio specifico e non come un insieme di diversi nomi, secondo le “occorrenze”, che sono stati assegnati a una stessa Realtà divina universale.
Questo ha fatto sì che la realtà di una sostanza viva, “fisicamente” intelligente, che pervade tutto l’Universo e che anzi è l’Uni- verso stesso, fosse completamente rigettata per divenire una idea astratta e puramente trascendente. Lo Spirito. D’altra parte – si dice – un argomento a favore di tutti i realisti, che agiscono sul piano accademico della concretezza dei risultati, come obiezione fondamentale, è che non ci sono prove verificabili in merito. Il che non è esattamente quello che sta succedendo nei nuovi ambienti della ricerca, per i quali l’assenza di prove non è una prova di assenza di risultati.
A fornirli, già nella prima metà del XX secolo, sembra che ci abbia pensato e provveduto molto bene Nikola Tesla, individuando questa misteriosa sostanza nell’“etere”.
Il “caso” (che non esiste) ha voluto che quando questo aspetto del cosmo è emerso alla percezione di Tesla, il famoso esperimento di Michelson e Morley sulla velocità della luce, relativa al presunto “vento d’etere”, e la prestigiosa teoria della relatività di Einstein finissero per monopolizzare l’attenzione generale degli studiosi dell’epoca, tutti d’accordo nel negare l’esistenza di questo “elemento”, mettendo così fuori causa questa scoperta.
E la ragione è semplice.
È la stessa che si ripete quando in ambito religioso si tirano in campo le vecchie e insindacabili scritture. I contemporanei fondano i loro studi e le loro analisi su quanto è stato già scritto sui libri di testo o sugli aspetti tecnici o sacri dei loro predecessori, temendo il giudizio collegiale dei colleghi del loro tempo. L’obiettivo primario che si pongono è di cercarne il consenso nel quadro del paradigma dominante che per logica – non si sa bene perché – deve ispirarsi al modello di un continuum evolutivo della tradizione scientifica classica.
Il vuoto quantico di Nikola Tesla
Tesla invece, rompendo con la tradizione classica e con l’orientamento generale del meanstream accademico del suo tempo, e soprattutto con gli scienziati canonici del nostro tempo, ritenne che questa sostanza, appena individuata, dovesse consistere di un’oceano di energia intelligente che denominò con l’espressione “energia radiante”. Naturalmente, in assenza del solito modello matematico, fu abbastanza facile per i benpensanti della fisica tradizionalista confutare e giudicare altamente opinabili le affermazioni in merito ai suoi più concreti esperimenti che avevano il pregio di precedere il formalismo matematico, anticipando i risultati e le soluzioni emergenti da tutta quanta la materia scaturita dalle sue osservazioni pratiche.
Senza contare poi che tra Tesla e i suoi detrattori, che non lo avevano ben capito, esisteva anche un profondo equivoco scientifico.
Per “etere” i fisici del tempo intendevano quel mezzo, poi recisamente negato, attraverso il quale avrebbero dovuto trovarsi a vibrare le onde di un campo elettromagnetico.
Ma questa concezione di etere era cosa ben diversa da quella che intendeva Tesla, per il quale l’etere non aveva nulla a che fare con il campo elettromagnetico e con le sue equazioni di Maxwell, bensì con un campo completamente e diverso, formato dal “vuoto quantistico”, un vacuo, un velo impalpabile, un flusso evanescente di energie sottilissime.
In questo modo era inevitabile che nel pensiero fisico-matematico, di per sé fondato su asserzioni rigorose, nel corso della storia della ricerca scientifica si abbattesse uno tzunami che spazzasse via quel binario obbligato, dettato dalla scienza ufficiale, al di fuori del quale qualunque altro percorso, dichiarato insensato, non poteva consentire vie praticabili.
L’imbarazzo della scienza moderna oggi sta tutto qui. È estremamente difficile per un fisico attuale, e ancor di più per una comunità di fisici tenuta insieme da un ferreo consenso, dover ammettere di aver sbagliato tutto e di aver costruito un edificio potente, imponente e solido sul terreno sbagliato.
Ne consegue che esso finisce per essere un edificio “artefatto”, non un edificio realistico.
Per dirla con le parole del fisico quantistico Fritjof Capra, “La scienza attuale si preoccupa più di costruire mappe che non di fotografare il territorio”. Ma la realtà empirica è il territorio, mentre la mappa è spesso una realtà di comodo, come troppo spesso lo sono certi dati o parametri utili per far tornare i conti delle equazioni, come architettura di base dell’attuale edificio della fisica. Oggi la fisica si trova allora a una svolta e a fare i conti con un vuoto senza massa, ma dotato continuamente di “energia virtuale intelligente”.
La scoperta della natura di questo tipo di vuoto, se da un lato affascina le menti dei fisici più all’avanguardia, da un altro lato li preoccupa, perché essi temono che l’individuazione delle proprietà del vuoto possano far crollare completamente l’attuale edificio della fisica, non per il modo in cui esso è costruito in sé, ma per il fatto che esso potrebbe presentarsi come “un castello in aria”, completamente avulso dalla realtà più autentica del cosmo.
In poche parole, ciò che avviene in natura non è ciò che è realmente, essendo la base di tutto situata in un regno; un info-regno che si trova fuori dal nostro normale dominio spazio-temporale e lontano dalle nostre normali percezioni sensoriali.
Insensibilmente, quasi inevitabilmente la scienza del mondo occidentale non sembra accorgersi, forse perché volutamente preferisce ignorarlo, per non essere riassorbita nella sua sfera di influenza, ma il suo concetto di realtà sta lentamente scivolando verso il concetto di Maya, già millenni fa contemplato dalle religioni e filosofie orientali.
Per questo Maya ha il potere di nascondere e di distorcere la realtà. Perché: “Non solo noi non percepiamo Brahaman, ma sovrapponiamo qualcosa d’altro al posto della Realtà Suprema. Tuttavia Maya non può definirsi come mera illusione, poiché esiste realmente fino a che la dualità non è completamente superata”. Lo stesso vuoto, la matrice da cui emerge la realtà della materia e dell’energia, non sarebbe altro che l’eco moderno di quell’onnipervadente “Prana” annunciato millenni e millenni fa dai sacri testi dei Veda e dai Vedanta delle scritture orientali.
In questo contesto, nell’ambito della realtà più autentica del cosmo e della moderna teoria di campo (scalare), moltissimi fenomeni definiti immaginari o fantasiosi, quando non addirittura impossibili a verificarsi, possono accadere: velocità superiori a quella della luce (superluminali); l’esistenza di altri universi e di altre dimensioni; fenomeni caratterizzati dalla “non località”, come già dimostrato da Bell, sperimentato da Alan Aspect e documentato dagli studi quantistici del grande fisico britannico David Bohm: tutti aspetti del reale che comportano l’esistenza di un Universo interconnesso nell’ambito di un grande “ordine implicito”, compresa la possibilità di alterare lo stesso campo gravitazionale, e perfino i fenomeni paranormali e le manifestazioni degli Ufo. Certamente Tesla, essendo ispirato dalle concezioni e dalle letture dei testi orientali, fu uno dei primi, se non il primo, nell’ambito della cultura del mondo occidentale, a percepire l’esistenza dell’etere e delle sue proprietà.
Tratto da La Scienza dell'Uno (Macro Edizioni, 2007).