Possibili modelli fisici della coscienza e loro conseguenze: da Eccles agli psitrioni alla teoria olografica di Pribram
Fisica dell'incredibile
Fisica dell'incredibile
Luigi Maxmilian Caligiuri - 21/04/2017
L’idea di una coscienza materiale (nel senso sopra evidenziato) non è nuova nel panorama scientifico e risale a più di quarant’anni fa, essendo stata invocata già nell’ambito neurofisiologico e psicoanalitico. Uno dei primi studiosi adevidenziare, già a partire dall’inizio degli anni Ottanta, le contraddizioni insite nell’interpretazione “tradizionale” psicofisiologica della coscienza è stato il grande neurofisiologo John Eccles, insignito del premio Nobel per le sue ricerche sulla trasmissione sinaptica nelle cellule cerebrali corticali. Nel suo trattato intitolato Le basi neurofisiologiche della Mente, Eccles sviluppa il modello che egli definisce come “ipotesi del meccanismo di azione della volontà sulla corteccia cerebrale”. Egli parte dalla constatazione di come uno stesso effetto, anche il più semplice come ad esempio alzare un dito, possa essere provocato attraverso una stimolazione artificiale di opportune aree della corteccia cerebrale ma anche, in maniera totalmente differente, da ciò che si produce quando tale movimento deriva da una precisa volontà di compierlo.
Tale palese constatazione porta ad una ovvia contradizione se interpretata nell’ambito di una teoria che tenga conto del solo sistema nervoso e della formazione dei riflessi condizionati. Eccles propone dunque l’ipotesi secondo la quale l’esercizio della “volontà” produrrebbe, nella corteccia, una modificazione in risposta a una specifica situazione, per cui, anche una lievissima “azione della volontà” su un singolo neurone sarebbe in grado di comportare un cambiamento considerevole dell’attività cerebrale. Ancora, secondo Eccles, la corteccia funzionerebbe semplicemente come un sistema rivelatore di un’ulteriore “struttura”, non (ancora) misurabile per mezzo degli strumenti scientifici disponibili, identificabile con ciò che egli chiama giustappunto Mente.
Eccles quindi riconosce l’esistenza di due entità distinte: la mente, struttura fisica ancora sconosciuta, e il cervello la cui unica funzione sarebbe quella di rilevare i “campi di influenza” spazio-temporali generati dalla mente e di garantire l’espletamento delle attività fisiologiche necessarie alla vita dell’organismo cosciente.
In particolare, nel modello di Eccles, il ruolo fondamentale è svolto dal processo di exocitosi che consente la trasmissione di segnali nervosi nelle vescicole presinaptiche. Tale processo rappresenta l’attività fondamentale unitaria della corteccia cerebrale per il quale è possibile stabilire una legge di conservazione. Da un punto di vista quantistico tale legge di conservazione può essere spiegata, secondo Eccles, supponendo l’esistenza di specifiche particelle quantistiche denominate “psiconi” che rappresenterebbero le unità fondamentali della coscienza le quali, interagendo tra loro, sarebbero in grado di generare l’esperienza unitaria e soggettiva della coscienza. Il campo quantistico associato a tali psiconi costituirebbe quindi il campo non-materiale, analogo ad un campo di probabilità, che regolerebbe il processo di formazione della coscienza.
Gli psitroni: la coscienza secondo il matematico A. Dobbs
Un altro modello fisico della mente particolarmente interessante è quello proposto dal matematico inglese A. Dobbs nel 1967 secondo il quale la materia pensante risulterebbe costituita da un sistema collettivo composto da unità quantistiche elementari denominate “psitroni”, ovvero di particelle aventi massa propria immaginaria (le particelle “ordinarie” hanno massa a riposo nulla, come i fotoni, o positiva) e, di conseguenza, caratterizzati da una velocità superiore a quella della luce nel vuoto. In un certo senso dunque, gli psitroni di Dobbs potrebbero essere identificati con le particelle superluminali denominate generalmente tachioni, ipotizzate per la prima volta dai fisici Feinberg e Surdashan nel 1966. Tale considerazione risulterà estremamente interessante, come vedremo, nel seguito. In particolare la teoria di Dobbs considera un tempo a due dimensioni: la prima coincidente con quella usualmente considerata, la seconda, di natura esclusivamente matematica, legata al concetto di probabilità di un evento. Egli inoltre introduce un modello dell’interazione tra psitroni e neuroni nel cervello secondo il quale quest’ultimo viene interpretato, analogamente al modello di Eccles, come un insieme di filtri selettivi in frequenza, del tutto analoghi a quelli presenti in un “ricevitore radio”.
Nonostante la teoria di Dobbs appaia, per certi versi, molto elaborata, un modello sostanzialmente più articolato è quello su cui è basata la teoria olografica di K. Pribram.
L’affascinante teoria olografica di Pribram
Questo è senza dubbio uno dei primi e più importanti modelli strutturati di coscienza basato esclusivamente su basi fisiche e in particolare sul concetto di ologramma. Come noto la tecnica olografica permette di registrare su una pellicola la figura d’interferenza prodotta dalla luce riflessa da un oggetto e sulla quale nessuna immagine è apparentemente distinguibile. Tuttavia, illuminando la superficie con un raggio laser, si formerà, come risultato, un’immagine tridimensionale collocata nello spazio. È importante sottolineare che un ologramma contiene effettivamente tutte le informazioni relative al volume dell’oggetto che esso rappresenta nello stesso modo in cui una fotografia rappresenta tutti i dettagli di una determinata faccia di un oggetto tridimensionale.
Secondo Pribram il cervello funziona in maniera olografica grazie alla presenza di cellule specializzate, in grado di eseguire un’operazione del tutto analoga alla funzione matematica nota come trasformata di Fourier.
Questa consente, operando su una funzione matematica del tempo, di passare dal dominio del tempo a quello della frequenza (e viceversa). Secondo Pribram la corteccia cerebrale giocherebbe un ruolo analogo a quello del raggio laser nel caso dell’olografia in modo tale che, agendo nel dominio delle frequenze denominate frequenze “spaziali”, restituirebbe, a partire da uno schema d’interferenza, le “immagini” quadridimensionali che corrispondono agli oggetti fisici a tre dimensioni che percepiamo nel nostro spazio-tempo. Secondo tale modello ciò che chiamiamo realtà fisica non sarebbe altro che una proiezione olografica, realizzata dal cervello attraverso un processo analogo a quello con cui un raggio laser decodifica lo schema d’interferenza impresso su una pellicola.