Che cos’è il metodo Ruffini?
Medicina Integrata
Medicina Integrata
Come per ogni invenzione che si rispetti, all’origine del Metodo Ruffini c’è molto spesso una scoperta, più o meno casuale. La vicenda che portò il dottor Ruffini a osservare le reazioni dell’ipoclorito di sodio è ormai nota a tanti.
Romina Alessandri - 01/01/2016
Era il 1991, Ruffini, durante la sua attività di dentista, si trova a dovere disinfettare i canali dei denti di una paziente, la quale presentava anche delle afte in bocca. L’ipoclorito di sodio (o Candeggina) è un disinfettante comunemente utilizzato proprio in odontoiatria. Il caso volle che una goccia cadesse proprio su un’afta della donna, il miglioramento fu praticamente immediato, osservabile a occhio nudo.
Da medico ebbe quindi l’intuizione di ripetere l’applicazione ogni qualvolta ne avesse occasione, riscontrando sempre la stessa reazione positiva. Gilberto Ruffini poté notare che lo stesso effetto si registrava in molte altre situazioni, che ben presto superarono il numero di 100, raccogliendo una bibliografia di casi e testimonianze ricchissima, arrivando a definire la metodologia terapeutica che ne prende il nome.
Nel 1996 depositò quindi il brevetto, ottenendone l’approvazione due anni più tardi.
Scopriamo meglio il Metodo Ruffini in questa intervista.
Come è stato accolto il Metodo Ruffini dalla comunità medica?
In principio, il Metodo Ruffini è stato accolto con un sorriso sarcastico; tuttavia, ben presto, alcuni ricercatori, quantomeno in ambito accademico, si sono dovuti ricredere, potendone osservare al microscopio le reazioni e confermando quindi la validità delle intuizioni e delle tesi del dottor Ruffini. Del resto, sugli usi medici dell’ipoclorito di sodio, c’è una bibliografia ricchissima, con studi da tutto il mondo e che abbiamo in parte riportato in coda al libro.
Diversi medici, soprattutto medici di famiglia, dermatologi e chirurghi ospedalieri, hanno cominciato a farne uso e a consigliarlo ai propri pazienti, in particolare in caso di infezioni antibiotico-resistenti o virali, come i diversi tipi di herpes. Oggi anche alcuni ginecologi cominciano a ricorrere al metodo per combattere efficacemente la candida e perfino il papilloma virus.
Come funziona l'ipoclorito di sodio?
Abbiamo visto che il metodo si basa su un comune disinfettante, l’ipoclorito di sodio, ovvero il sale di sodio dell’acido ipocloroso, formula chimica NaOCl, diluito in acqua tra il 6 e il 12 per cento. Ma come agisce nel concreto?
Come spiega Gilberto Ruffini, il vero principio attivo del metodo è l’acido ipocloroso (HOCl), che si viene a formare per reazione quando l’ipoclorito di sodio entra in contatto con la membrana cellulare dell’agente patogeno. Come nell’assalto a una città fortificata, scinde i legami idrogeno di alcuni componenti della membrana o parete cellulare e, disgregate le mura di cinta, ha campo libero nell’affrontare le altre componenti del microrganismo, distruggendone perfino il dna, senza lasciarvi quindi la possibilità di riformarsi. È questo il processo con cui l’ipoclorito elimina virus, batteri, protozoi e funghi. I tempi di applicazione variano in base al tipo di tessuto e al tipo di struttura dell’agente patogeno.
Nel caso dei parassiti la situazione cambia lievemente: trattandosi di esseri pluricellulari, l’acido ipocloroso non arriva a disfarli totalmente, ma li ‘soffoca’, venendo introdotto nell’organismo attraverso i pori di traspirazione o comunque per osmosi.
L’ipoclorito di sodio, come abbiamo detto, stimola anche la rigenerazione della matrice extracellulare, quindi della pelle, in caso di ustioni o ferite o altri danneggiamenti dell’epidermide, e riesce anche a neutralizzare l’effetto di veleni e sostanze urticanti, scongiurando in molti casi reazioni anafilattiche o comunque il dolore locale. Stiamo parlando di punture di api, vespe, calabroni, formiche, ragni, tarantole, processionarie, tracine, meduse, ortiche e altri animali o piante urticanti. In questi casi, se si applica in tempi brevissimi, entro 30 secondi, l’ipoclorito di sodio scatena una reazione chimica a catena che inibisce la sostanza. In altri casi, come per i morsi di serpenti velenosi, l’azione topica risulterebbe invece inefficace, se non per disinfettare la parte, perché il veleno viene iniettato dall’animale in profondità e quindi bisogna agire per via sistemica con l’antidoto adatto (dal momento che l’ipoclorito non può essere né iniettato né bevuto).
Il Metodo Ruffini agisce anche nella disgregazione di batteri, virus, protozoi e funghi. Nel libro sono disegni originali, realizzati anni addietro da Paolo Ruffini sotto la guida attenta del padre. Per ogni agente patogeno vi sono tre schede grafiche: nella prima è descritto il microbo, virus, protozoo o miceto che sia; nella seconda sono elencate le fasi in cui si articola l’azione dell’ipoclorito di sodio; nella terza è riportata l’immagine di ciò che resta dopo.
Scopri di più sul libro:
CURARSI CON LA CANDEGGINA?
http://www.metodoruffini.it/Libro.html