Perché è efficace usare la terapia antiacida nella cura dei tumori
Medicina Integrata
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Il microambiente tumorale dovrebbe essere il vero obiettivo delle terapie. In particolare l’acidità che sostiene la progressione maligna del tumore
Stefano Fais - 02/12/2022
Tratto da un'intervista apparsa su: lavocedeimedici.it
Mentre il mondo scientifico è concentrato sempre di più nella ricerca di terapie innovative e personalizzate attraverso l’identificazione di un bersaglio molecolare, io ho contribuito a dimostrare che i tumori fra di loro hanno più aspetti in comune che differenziativi. Gli aspetti comuni a tutti i tumori: il basso apporto di sangue, i bassi livelli di ossigeno e la acidità presenti nell’ambiente tumorale. Una visione globale che si differenzia dalla ricerca convenzionale.
<<Il mio libro è frutto di una lunga storia di attività clinica e di ricerca. Quando sono arrivato all’Istituto Superiore di Sanità volevo capire a che punto eravamo con le terapie farmacologiche. Sono rimasto deluso. La sorpresa è stata trovarmi di fronte a un approccio di cura aggressivo e sbagliato. Dal 2009, secondo uno studio condotto da ricercatori inglesi, per la cura dei tumori non c’è un farmaco di nuova generazione che realmente funziona rispetto alle terapie standard (chemio e radio terapia). Da qui la scelta di trovare un’altra strada. L’acidità presente nell’ambiente tumorale non è solo l’argomento chiave del libro, ma uno dei principali campi dell’attività di ricerca del dott. Stefano Fais. Un percorso che ha portato alla dimostrazione secondo la quale “i nuovi farmaci non funzionano perché i tumori sono acidi. Hanno un pH medio di 6.5 rispetto a quello del sangue arterioso, che è considerato un rifermento per nostro organismo, che è di 7.4, e quindi alcalino. E quindi il nuovo paradigma che propongo è cruciale per la nostra salute “i tumori sono acidi e noi siamo alcalini”. Nel libro scrivo che tale acidità seleziona cellule che sanno vivere in un ambiente così ostile e che per viverci contribuiscono ulteriormente ad acidificare l’ambiente tumorale.
Dopo circa 79 anni dall’uso del primo chemioterapico nella terapia dei tumori, la chemioterapia è ancora la terapia medica di prima scelta nei confronti dei tumori. Nei due libri parlo appunto dell’origine della chemioterapia che parte dall’uso dei derivati delle mostarde azotate, su cui si basavano i gas nervini usati nella prima guerra mondiale. Gli studi preclinici e clinici si sono focalizzati sull’uso di una famiglia di antiacidi usati da mezzo mondo chiamati inibitori delle pompe protoniche (PPI), con nomi conosciuti, omeprazolo, lansoprazolo, rabeprazolo, pantoprazolo etc.
Gli studi preclinici hanno mostrato che i PPI alcalinizzano il microambiente tumorale e da una parte migliorano l’efficacia dei chemioterapici, dall’altra uccidono da soli le cellule tumorali perché le privano di un meccanismo che consente loro di vivere in un ambiente acido. Gli studi clinici sono stati tutti orientati a verificare l’effetto chemosensibilizzante che è stato dimostrato in osteosarcomi e tumori della mammella e del tratto gastroenterico, ma anche in tumori della testa/collo. Studi retrospettivi effettuati in Cina su un gran numero di donne hanno dimostrato che donne che facevano uso di PPI per problemi di iperacidità avevano una minore incidenza di tumori della mammella.
Il primo a parlarne fu un premio Nobel 1931, che si chiamava Otto H. Warburg. Lui dimostrò che la differenza fondamentale fra una cellula normale e una tumorale è che la prima ha bisogno di ossigeno per svolgere i suoi processi metabolici, quella tumorale che ci sia o non ci sia ossigeno fermenta gli zuccheri rilasciando acido lattico. Oggi il mio gruppo come pochi altri nel mondo, ha dimostrato che questo processo porta alla progressiva acidificazione del microambiente tumorale, in quanto l’acido lattico rilascia Ioni Idrogeno (H+). L’acidità viene poi mantenuta dall’attività delle pompe protoniche che liberano nell’ambiente extracellulare gli H+.
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Quello che noi abbiamo fatto per primi al mondo è stato di trattare con Inibitori di Pompa Protonica (PPI) sia le cellule tumorali che i tumori, inducendo due fenomeni:
1. Migliorare l’efficacia di tutti gli altri trattamenti.
2. Uccidere direttamente le cellule tumorali perché le pompe protoniche evitano l’acidificazione interna delle cellule.
Solo in Italia muoiono circa 500 persone al giorno di tumore. Ma sono numeri di cui non si parla più. Chiunque si sia trovato di fronte come medico un essere umano a cui era da poco stato diagnosticato un tumore ha potuto rendersi conto che chi aveva di fronte era avvizzito dalla paura, direi privo di ogni energia vitale. Non si può curare nulla, incutendo paura.
Onestamente quello che ho visto è che un trasferimento di energia anche se per certi versi non paradigmatico, ha effetti immediati sul paziente che si sente subito in grado di affrontare la malattia e le conseguenti terapie. Come accennato in precedenza, lo scopo della medicina è curare, non necessariamente guarire.
Mentre questo viene accettato per la gran parte delle malattie (e.g. ipertensione arteriosa, diabete, morbo celiaco, AIDS) per i tumori non viene accettato, perché vi è una quotidiana paura di morire. Ma, sostengo, in realtà anche i tumori sono delle malattie e come tali possono efficacemente essere curati, non necessariamente guariti.
Per scherzare dico spesso: “La vita è una malattia cronica, ingravescente, inevitabilmente fatale ed anche trasmessa sessualmente; quindi quando si parla di guarigione ci si oppone ad un processo naturale, perché dalla vita non si guarisce”.>>
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CHI È Stefano Fais
Head of Research
Department of Oncology and Molecular Medicine
Dept. of Therapeutic Research and Medicines Evaluation
Istituto Superiore di Sanità (National Institute of Health)
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