L'altra depressione, ovvero come i "sani" percepiscono il depresso
Ennio Martignago - 01/01/2016
Tratto da Scienza e Conoscenza n. 27.
L'ipnosi non esiste, tutto è ipnosi
Milton Erickson
La depressione "esiste"
Era la fine degli anni '70 e io ero nel pieno dei corsi universitari, quando un insegnante di Psicologia Clinica ci raccontò che gli anni a venire sarebbero stati all'insegna della patologia depressiva. Non che la depressione fosse sconosciuta, ma era semplicemente considerata una "malattia" grave e, in quanto tale, statisticamente meno frequente, un caso da cliniche psichiatriche e non certo da medico generico. In quegli anni la vera patologia epidemiologica era l'ansia e quindi le nevrosi d'ansia.
Questo insegnante ci spiegava invece che le case farmaceutiche avrebbero "lanciato" la depressione, proprio come fosse una moda, determinando il progressivo rimpiazzo dei meno redditizi ansiolitici, come le benzodiazepine, ad opera di nuove molecole di antidepressivi. Sarebbero state efficaci per cosa? Probabilmente per un bisogno tutto da inventare e da confezionare.
Il fenomeno esplose negli anno '90 e oggi ci troviamo di fronte ad evoluzioni mostruose, come l'abuso di antidepressivi fra bambini e adolescenti.
C'è che sostiene che la depressione non esiste. Non è dunque vero: la depressione esiste perché è il nome che ha consentito la diffusione di un fenomeno. La depressione esiste solo perché esistono farmaci e protocolli antidepressivi e perché è sancita dal DSM. Al di fuori di queste ragioni è probabile che non esisterebbe. Da un punto di vista semantico, molto meglio sarebbe parlare di melancolia, l’"umore nero" ippocratico: di questo si tratta in fondo.
Nella sola Italia (figuriamoci quindi nel complesso del mondo occidentale) si stima che un quarto della popolazione debba considerarsi afflitta da una qualche forma di depressione con un incremento previsto del 100% da qui al 2020 (in misura doppia sarebbero donne e il 2,5% di questi sono previsti tra i 13 e i 15 anni). Quello che più conta è il valore dei depressi "ufficiali": quelli a torto o ragione diagnosticati tali e messi in terapia sarebbero 6 milioni con un'incidenza nel sistema sanitario nazionale di 500 milioni di euro e 746 milioni di dosi giornaliere di farmaci (con un incremento medio annuo attuale del 6%).
Tutto ciò nonostante si sappia che questi farmaci possono avere un senso solo in quelle che possono essere definite depressioni gravi ("psicosi depressive"), mentre sono dannosi e persino depressogeni nelle altre. È invece generalmente diffusa, specie nella medicina di base, la superstizione che l'antidepressivo "forte" agisca prima e meglio, mentre non è così. Questi farmaci, di qualsivoglia famiglia, per fare effetto richiedono tempo e trattamenti paralleli di sostegno e per l'immediato bisogna prendere in considerazione delle soluzioni diverse ed efficaci.
Sostenere che la depressione come "fatto" non esista non vuol dire che quelle forme di sofferenza generalmente ascritte alla categoria di "depressioni" non possano essere affrontate e superate, e nemmeno che i mezzi prodotti dall’”industria scientifica”, primi fra tutto i farmaci, siano inefficaci o addirittura tutti deleteri.
Possiamo distinguere le tipologie depressive in tre livelli, partendo dal primo in cui a prevalere sono i sintomi, per passare a quello in cui la patologia è sostenuta dalle relazioni sociali con l'insorgere di un'identificazione deviante, per arrivare alla coincidenza dell'identità e della volontà con il destino depressivo.
L'elemento che le accomuna tutte non è tanto la casistica o i segni patognomonici, quanto il sentimento che di fronte ad un "cosiddetto depresso", il familiare, il vicino di casa e lo stesso medico provano: tristezza, svuotamento, poca voglia di vivere, una noia esistenziale profonda, oppure una pena angosciosa. Per questo è frequente una certa disaffezione nei confronti di queste richieste di aiuto. La "depressione" ha una propria identità solo perché esistono trattamenti e perché esiste una certa uniformità di vissuto in chi ha a che fare con il "cosiddetto depresso".
Il Malumore
Quanto siamo in grado di sopportare il dolore e qual è il livello in base al quale si va a parlare di patologia e quindi di terapia? La sofferenza fa parte della vita e secondo alcuni ne è addirittura il sale. Il benessere conseguito negli ultimi secoli ha fatto scendere la soglia di tolleranza della sofferenza e verosimilmente l'innalzamento della durata della vita ha generato forme patologiche che un tempo non erano prese in considerazione, spesso anche solo perché la persona cessava di esistere prima che potessero manifestarsi.
Ci sono persone con una soglia di tolleranza emozionale più bassa della media per le quali stati d'animo impercettibili ai più sono fonte di tormento. Lo stesso tormento che per gli artisti costituisce un attrito indispensabile per produrre energia creativa. Solo quando la sofferenza prende il sopravvento obnubilando altri pensieri e desideri, riempiendo di sé ogni anfratto della quotidianità, non esiste più ragione per non intervenire. È, infine, molto importante riuscire a prevedere i casi in cui determinati stati possono essere considerati esordi di una "carriera" melancolica per intervenire adeguatamente.
Il primo e principale obiettivo è far passare la sofferenza il prima possibile usando tutto quello che può favorirne la scomparsa e prevenirne il ritorno.. L'intervento suggerito è di tipo sistemico multi-dimensionale con la presenza di una figura che coordini il processo terapeutico. Le strade principali sono tre: l'igiene, la psicoterapia e la farmacoterapia (rimedi dolci, omeopatia, floriterapia, o piuttosto ansiolitici antidepressivi lievi), non necessariamente in quest'ordine e possibilmente in maniera integrata e simultanea.
In prima istanza il più delle volte si cercherà un farmaco sintomatico o si procederà con la psicologia d'urgenza (EMDR, PNL e simili), intervenendo sullo stato emozionale generale per rinforzarlo e per "aumentare le difese".
Accanto a questi interventi di urgenza si potrà iniziare un ciclo di psicoterapia breve volto a rievocare e rinforzare le risorse e a favorire l'apertura alla varietà dell'esistenza; a supportare il coraggio e favorire l'emergere di interessi e soluzioni alternative, assieme all'abbandono di schemi di comportamento e di significato bloccati a favore di un cambiamento evocato e non indotto. Il carattere incline alla malinconia ha bisogno di sperimentare esperienze di liberazione espressiva. Per questo sono efficaci le "palestre emozionali" come i gruppi a orientamento rappresentazionale o artistico.
Difficilmente si può far reagire un organismo defedato, intossicato o appesantito qual è spesso quello delle persone psichicamente sofferenti. Va pertanto curata l'igiene fisica con l'esercizio, l'alimentazione, le abitudini di vita, ma soprattutto l'igiene emozionale. Nella psicologia manca una vera e propria teoria delle emozioni. Watson, padre del comportamentismo, all'inizio del secolo scorso considerava che le emozioni traessero origine più dai visceri che dal cervello e dai coinvolgimenti cognitivi. Non è quindi fuori luogo immaginare che la vita emozionale possa essere associata ad un tono simile a quello muscolare. Si possono irrobustire i "muscoli" emotivi, imparando a sfruttare le energie emozionali senza averne paura né subirle passivamente; imparare a sopportare le tempeste umorali e gestirle come una risorsa arricchente e positiva, trasformare pensieri negativi in coraggio.
Si può dire che la depressione si basa su schemi mentali, abitudini apprese sia in famiglia che attraverso i modelli culturali introdotti dalla cultura dei gruppi di appartenenza, come pure dalla scuola o dai modelli dei media. La desensibilizzazione o il reversal learning risultano quindi utilissimi: ad esempio è fondamentale imparare a vincere il complesso della Moglie di Lot, ovvero l'indulgere allo sguardo retrospettivo, al “com'eravamo”, alla nostalgia cronica vissuta come esperienza poetica, invece che come tossicodipendenza da schemi mentali parassitari. C'è una splendida canzone di Francesco de Gregori che contiene un passo destinato a fare da mantra per ogni cosiddetto depresso: “Quando domani ci accorgeremo che non ritorna mai più niente, ma finalmente accetteremo il fatto come una vittoria”. Insomma, l'apprendimento e la rottura degli schemi sono un passaggio difficile quanto fondamentale che lega tutte le forme depressive.
Il Depresso
Quando una persona che altrimenti potrebbe essere aiutata a superare i propri problemi concreti viene diagnosticata come depressa, essa gradualmente si adatta al cambiamento di atteggiamento e percezione che le persone attorno finiscono per adottare.
Non si può dire che le dinamiche di relazione costituiscano in sé e per sé la causa della depressione, mentre è facile dimostrare che possono favorire la cronicizzazione di uno stato acuto altrimenti estemporaneo.
Quello che si presenta al clinico in questi casi sono delle persone ormai abituate a convivere con il proprio monolite domestico o lavorativo che condiziona l'ambiente, fino a rendere inefficaci tutti i trattamenti. Anche le cure, infatti, contribuiscono a fissare l'"identità depressa", istituzionalizzando una sintomatologia.
È in questa fase che insorge il "carattere depressivo" come frutto dell'abitudine alla relazione depressiva con l'ambiente. È frequente che a manifestarlo sia il primogenito o figlio unico di famiglie che nutrono grandi aspettative nei suoi riguardi, non di rado per riscatto sociale della famiglia stessa. Egli spesso porta con sé i tratti di un certo "fondamentalismo ideologico di tipo integralista": vuole che tutto sia assoluto e senza compromessi. È il vero erede dell'eroe romantico: ha un’insaziabile fame d'amore, ma di un amore assoluto, fuori dalla storia e dalle meschinità del quotidiano, e di esso chiede continue dimostrazioni di cui peraltro non è mai soddisfatto. Non tollera l'ambiguità. Una cosa o è bianca o è nera: i grigi corrispondono a meschinità insoddisfacente. Esige troppo da chi gli sta vicino, così come prova attese esagerate soprattutto da se stesso e rimane profondamente deluso non conseguendole. Non solo l'impressione d’inadeguatezza, ma lo stesso senso di colpa è connesso all'onnipotenza potenziale di cui si ritiene fatalistico portatore e vittima e quindi alla mancata riuscita del suo compito per le alte aspettative che vi ha attribuito. Non è strano che il suo stato migliori quando entra in rapporto con bambini o persone deboli che richiedono un aiuto che non comporti assunzioni di responsabilità.
Il depresso spesso desidera nascostamente che non gli si fornisca ciò che chiede. Ha fondamentalmente bisogno di consentire a se stesso una vita normale, di non dovere essere eroe fra immacolate principesse, ma peccatore fra peccatori, relativo fra relativi, provvisorio fra provvisori. La disillusione stessa può essere il fattore scatenante della depressione, ma anche la principale risorsa per superare lo stallo che essa genera. La delusione è una forma di triste rassegnazione che costituisce per il "depresso relazionale" la vera e propria liberazione dalla tirannia delle aspettative verso se stesso e gli altri.
Tuttavia il suo comportamento lo spinge ad ottenere esattamente l'opposto: l'assoluto rifiuto o l'assoluta schiavitù. Chi lo ama tende a fornire prova di questo sentimento asservendosi ai suoi mutamenti d'umore. Lui richiede cure (care eliciting behavior) e trova chi gliele offre (care giving behavior). Il partner del depresso è a sua volta qualcuno che in questa missione trova una ragione di vita e quindi è strutturalmente anch'egli un depresso che aiutando l'altro esorcizza la propria stessa depressione. Tutto il mondo del "depresso" gira intorno ai suoi stati d'animo. Le cose si ripetono sempre uguali e la mediocrità si estende tutt'intorno a lui.
Sapendo che queste persone, almeno in apparenza disdegnano i compromessi, occorrerebbe invece mettere le cose nero su bianco e portare gli attori con le spalle al muro di fronte alle "conseguenze del troppo amore", piuttosto che accettare mediazioni intollerabili per tutti. Si tratta, è vero, di scelte all'apparenza rischiose, e in molti casi lo sono anche, ma sono anche le uniche chance reali per tutti di uscire dal vicolo cieco. Nella terapia della depressione anche il terapeuta, dedito con accanimento terapeutico a fare di tutto per salvare il paziente, deve evitare di cadere nella stessa trappola della famiglia assorbendo come una spugna lamentazioni e ricatti. Qualunque sia la strada da intraprendere in questi casi dev'essere rapida per evitare di aggiungere la psicoterapia ai fallimenti da rubricarsi sotto l'errore del care giving behavior. E deve agire su più versanti per evitare l'ennesima dimostrazione d’impossibilità di cambiare. La terapia sintomatica farmacologica si contrappone al cambiamento e all'assunzione di coraggio e responsabilità, anche se può tranquillizzare il medico dai rischi di una ristrutturazione di campo. Quando si mira al cambiamento non si può non accettare questo rischio, limitandosi al più a contenere i picchi dell'umore. Non bisogna dimenticare che in una situazione di cronicità l'emergere di una crisi controllata è sintomo di un processo di guarigione.
Il Male di Vivere
Esistono, infine, forme di depressione apparentemente scollegate dagli eventi e dalle relazioni sociali e a volte persino immuni dal dolore vero e proprio. Viene fatto di paragonarle al comportamento dei lemming, quegli animaletti che, per mantenere costante l'equilibrio della popolazione, si lasciano cadere da una rupe precipitando uno dopo l'altro per morire sulle scogliere. Il lemming non si uccide per sofferenza e neppure per scelta di comportamento: il suo destino è segnato alla nascita, fa parte delle stesse condizioni di appartenenza a una specie.
La volontà di morte non è una reazione ad una vita cattiva o ad un fallimento, essendo piuttosto frutto di un destino o di una insensibilità profonda, come la deprivazione sensoriale dei grandi ustionati. È spesso quest’insensibilità alla sopravvivenza propria e altrui a favorire l’insorgere della volontà di morte.
Va da sé che in questi casi è molto difficile parlare di terapia, perché è il concetto stesso di salute qui a venire messo in discussione. Qual è la salute per un lemming? Probabilmente quello non sano è proprio quello che non si getta dalla rupe. Allora come curare colui la cui natura è di volgersi verso la morte, che si tratti di quella fisica o, come più spesso avviene, di quella spirituale o emozionale?
Siamo noi, quelli che non condividono questo modo d'essere, questa weltanschauung, a non accettare una chiave costitutiva che nega il valore della vita. Per questo gli psicopatologi annoverano queste "depressioni gravi" fra le psicosi, ovverosia le patologie che mettono in discussione la convenzione di realtà e le sue regole. La qualificano come una dissociazione affiancandola a quella schizofrenica: laddove lo schizofrenico ha l'identità dissociata, Il Sé (il nucleo esistenziale) è dissociato dall'Io (il nucleo ontologico), per il grande depresso è dissociato dal sentire. La sua identità essendo dissociata dal sentire comune, egli è estraneo alla sua storia.
Proprio per il carattere extra-ordinario di questi vissuti, gli studi più affascinanti e forse i più esplicativi di questi casi ci arrivano più dall'approccio religioso o esoterico che da quello scientifico, dalla psicologia esistenziale e da quella transpersonale più che dalla fisiologia. Fu Binswanger a riscontrare come sia l'estetica del tempo ad essere turbata in un ciclotimico. Delle due grandi categorie dell'estetica kantiana quella destrutturata nello schizofrenico è quella spaziale, per come ci è stato mostrato dal Laing dell' Io diviso (Enaudi 2001). Nella fase melancolica è il tempo a non essere più percepito: un vissuto privo di futuro è anche privo di un presente, mentre vive l'estraneità della storia di un altro. La fase maniacale della ciclotimia, invece, tende ad accelerare il flusso temporale e a fare vivere in un costante futuro, rispetto al quale l'unico passato percepibile (il presente e l'identità) non esiste, divorato dalla fame di divenire che non concede tempo per soffermarsi su se stessi. Se il destino della moglie di Lot fu quello di diventare statua di sale per avere indugiato nel passato, quello di Icaro fu di bruciarsi le ali per spingersi verso il sole.
Queste teorie d’altronde non giustificano un'assenza di interventi. Fortunatamente i trattamenti farmacologici, pur senza pretendere miracoli, hanno fatto molti progressi nello sforzo di donare quiete a molti di questi destini drammatici. Una volta recuperate le capacità relazionali si può intervenire con gli approcci multidimensionali precedentemente illustrati, a partire dal recupero dell'igiene fino alle psicoterapie volte alla riabilitazione delle emozioni e ad una ricostruzione di un continuum esistenziale nella precarietà di una vita provvisoria, meno assoluta, ma anche più vivibile in quanto umana, con tutti i piaceri e dispiaceri che la quotidianità ci dispensa. Fra le più importanti esperienze di rianimazione emozionale, l'Ipnosi ericksoniana ha insegnato quali vantaggi si possano ottenere a far "vivere" in trance emozioni e stati d'animo difficilmente sostenibili nella vita normale. Nel caso dell' Uomo di Febbraio (Milton H. Erickson, Ernest L. Rossi - Astrolabio Ubaldini Edizioni – 1992) Erickson ha mostrato come si possa arricchire la vita interna di una persona delle esperienze che mancano.
Si tratta di percorsi impegnativi per chi li segue e per chi li conduce, ma sono anche quelli che offrono più speranza.
Speranza: la parola chiave della vita nella sofferenza.
Chi è chi?
Ludwig Binswanger (Kreuzlingen, 1881 – Kreuzlingen, 1966) è stato uno psichiatra e psicologo svizzero. Per Binswanger una malattia mentale è un modo di porsi dell'essere umano, una modalità del suo essere-nel-mondo, una peculiare disposizione soggettiva nei confronti della realtà e della vita interpersonale
Ronald David Laing (Glasgow, 1927 – Saint-Tropez, 1989) è stato uno psichiatra scozzese. Fu uno dei primi medici a descrivere la malattia mentale come una forma di “esperienza” esistenziale o punto di vista che, in linea di principio, è perfettamente comprensibile agli altri e dotato di senso. Laing fu tra i principali ispiratori del movimento detto antipsichiatria. Tra le opere di Laing: L’io diviso, Enaudi1969
Milton H. Erickson (Nevada, 1902 – Arizona, 1980), psichiatra e ipnoterapeuta ha svolto la sua attività clinica principalmente in Arizona, Phoenix, USA. L'importanza della sua opera è attribuita, soprattutto, al notevole contributo fornito nell'ambito dell'ipnosi e da un approccio nuovo ed originale nel rapporto con i pazienti.
Erickson è ricordato per:
- il suo approccio originale alla psicoterapia e al rapporto con il paziente
- il suo ampio utilizzo della metafora terapeutica, delle narrazioni e dell'ipnosi
- aver inventato l'espressione Terapia breve in relazione alla sua abitudine di affrontare e di risolvere i problemi con un numero relativamente breve di sedute
- la sua concezione dell'inconscio come di qualcosa che è completamente distinto dalla mente conscia, con la sua specifica consapevolezza, i suoi interessi, le sue risposte e il suo apprendimento. Secondo Erickson, la mente inconscia è creativa, generatrice di soluzioni e ha come obiettivo il bene della persona.
- la sua capacità di utilizzare qualsiasi processo del paziente per aiutare il cambiamento: convinzioni, parole preferite, estrazione culturale o sociale, storia personale, e perfino le abitudini nevrotiche. Tra le sue opere, oltre al già menzionato L'Uomo di Febbraio: L'Esperienza dell'Ipnosi. Approcci terapeutici agli stati alterati, Astrolabio Ubaldini Edizioni (1985); La Mia Voce ti Accompagnerà. I racconti didattici di Milton Erickson, Astrolabio Ubaldini Edizioni (1983).
Chi è Ennio Martignago
Psicologo e Psicoterapeuta. Pratica la metodologia del Bilanciamento Dinamico a seguito di una formazione Sistemica e Transpersonale, con particolare riferimento al lavoro sugli stati di coscienza, come l'Ipnosi ericksoniana e la Programmazione Neurolinguistica. Conoscitore dell'Omeopatia, dell'Antroposofia e delle Naturopatie, ne integra i principi all'interno del processo terapeutico.
Tratto da Scienza e Conoscenza n. 27.