Mente e Corpo: un'unità
Medicina Integrata
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Sin dalla notte dei tempi, l’uomo ha sempre considerato il corpo e la mente all’interno di una concezione dualistica, ovvero come elementi tra loro indipendenti, per poter spiegare fenomeni che altrimenti non sarebbero stati compresi, come i pensieri, il dolore fisico e la morte. Il dualismo consentiva anche di distinguere gli esseri viventi da quelli non viventi e, in termini più ampi, di poter esprimere più semplicemente concetti morali, religiosi e filosofici.
Redazione - Scienza e Conoscenza - 30/10/2021
Tratto dal libro Cervello-Intestino un legame indissolubile - di Stefano Manera
La distinzione tra mente e corpo, cioè la visione dualistica, senza dubbio fu molto chiara inizialmente, addirittura lineare, ma per molti filosofi parve poco convincente.
Anticamente la mente e l’anima erano considerate essere la stessa cosa: era l’anima che distingueva l’uomo dagli animali e che lo rendeva un essere pensante; ed era ancora l’anima che “animava” un essere non vivente, portandolo alla vita.
Ad esempio, Aristotele, Ippocrate, Giovenale e san Tommaso d’Aquino consideravano il corpo naturalmente abitato da una forza spirituale, appunto l’anima, e non avevano una visione dualistica.Nelle Satire di Giovenale (redatte dopo il 127 d.C.) si legge la famosa locuzione mens sana in corpore sano (mente sana in corpo sano), con essa intendendo che, per aver sane le facoltà dell’anima, bisogna aver sane anche quelle del corpo.
Giovenale riteneva che mente e corpo fossero distinte, ma strettamente interconnesse. Nella tradizione cristiana, anima e corpo furono sempre considerati distintamente con precise caratteristiche morali, in una visione dualistica molto evidente nelle usanze di mortificare e punire il corpo per elevare maggiormente l’anima verso Dio, separando cioè ciò che era considerato terreno, quindi peccaminoso, da ciò che era considerato puro.
San Tommaso sosteneva che l’anima sopravvivesse al corpo dopo la morte, ma che fosse destinata a unirsi nuovamente a esso, in occasione della risurrezione finale dei corpi, poiché nella sua interpretazione filosofica e teologica, sarebbe stato inconcepibile considerare la forma senza la materia e la materia senza la forma, ovvero corpo e spirito separati.
Da un punto di vista storico, il dualismo corpo-mente è stato per lungo tempo visto nell’ottica del dualismo materia-spirito e il maggior responsabile di questo modo di vedere la realtà è stato certamente Cartesio, che definì l’anima come res cogitans in opposizione al corpo definito come res extensa.
Questa tesi fu considerata ben presto insostenibile e gli studiosi della mente dell’ultimo secolo identificarono e sottolinearono tale errore gnoseologico in maniera molto precisa, come ha fatto ad esempio Antonio Damasio, dedicando a questo argomento un intero saggio*.
La teoria cartesiana, tuttavia, ebbe molto successo nelle teorizzazioni etiche e pedagogiche sino agli inizi del XX secolo. La concezione di un’anima intelligente che dirige il corpo, semplificava molto l’etica, la prassi educativa e le regole religiose attraverso la contrapposizione tra spirito e carne: le persone dovevano essere educate a dominare le esigenze del corpo attraverso la volontà.
Le azioni umane venivano interpretate e giudicate come atti dettati esclusivamente dal libero arbitrio.
L’UNITÀ PSICOFISICA
Nel XIX secolo accadde però qualcosa di nuovo: l’attenzione cominciò a rivolgersi ai rapporti tra corpo e spirito e sempre meno alla loro opposizione. In quegli anni venne teorizzato il concetto di unità psicofisica per indicare quella connessione esistente tra gli stimoli recepiti dal corpo e la percezione a livello di coscienza e, viceversa, la connessione tra sentimenti, stati d’animo e traumi psichici nel comportamento somatico.
Prese quindi corpo il concetto di unità psicofisica partendo dalle ricerche di Gustav Theodor Fechner sui fenomeni psicofisici, sulla sensazione e sulla percezione. Il biennio 1860-1861 fu un periodo importante poiché, innanzi tutto, fu elaborata la famosa legge di Weber-Fechner, ovvero uno dei primi tentativi di descrivere la relazione tra stimolo e percezione, e in secondo luogo perché furono scritti da Fechner stesso due importanti saggi: Elementi di psicofisica (1860) e Sul problema dell’anima (1861).
Ma fu solo agli inizi del XX secolo che si ebbe la svolta significativa rispetto al problema dell’unità psicofisica attraverso molteplici autori e i loro relativi lavori; pensiamo a William James e a Sigmund Freud, l’“ideatore” della psicoanalisi, dsciplina in cui l’interesse per il corpo e per la relazione corpo-mente è presente fin dalla sua nascita attraverso lo studio sulle pulsioni.
Ma pensiamo anche agli studi sulla psicogenesi delle forme del pensiero, al cognitivismo di Jean Piaget, agli svi-luppi della medicina psicosomatica, alla filosofia energetistica di Henri Bergson, alla teologia evoluzionistica di Teilhard de Chardin e alla fenomenologia a partire da Edmund Husserl in poi.
La psicologia studia la coscienza senza riferirsi a organi del corpo o a componenti microscopici dell’organismo umano, come neuroni e gangli, ma a esperienze vissute dall’individuo che è considerato come una realtà fisica, vivente, che parla e agisce.
Oggi sappiamo che l’esperienza non esiste in sé, ma è un vissuto soggettivo e individuale. Fu questo l’errore in cui cadde Cartesio definendo il pensiero come res cogitans.
Il nostro bisogno di avere delle definizioni si esprime con identificazioni e riferimenti a cose e a situazioni intese oggettivamente; in questo modo la coscienza diviene necessariamente qualcosa di estraneo al corpo e al quale dovrà essere necessariamente collegata.
VIVERE È CONOSCERE
La realtà è invece che la coscienza non è assolutamente estranea al corpo, ma è un tutt’uno. È così che nasce il concetto di unità psicofisica: coscienza e organismo fis-co non sono due realtà a sé stanti e di cui dobbiamo studiare le reciproche influenze, ma costituiscono la stessa realtà umana vissuta dal soggetto. Abbiamo sentito spesso proferire distinzioni come: sofferenze dell’anima e del corpo, educazione della mente e del corpo, malattie mentali e malattie fisiche e così via.
Tutte queste espressioni, tuttavia, sono estremamente devianti perché inducono a credere che mente e corpo siano ambiti separati e, magari, meritevoli di cure e attenzioni distinte.
L’unità psicofisica è invece il nuovo modo di considerare l’uomo in contrapposizione al dualismo psicofisico, concetto che ha preso corpo sostanzialmente a causa delle carenze e dei limiti del linguaggio umano, il quale non può parlare degli stati soggettivi se non attraverso l’oggettivazione; ed è proprio così che la coscienza diventa una res (per quanto cogitans) in opposizione al corpo.
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