Il caso "Memoria dell'Acqua": le parole di Jacques Benveniste
È il 28 giugno 1988 e la rivista britannica Nature, tra le più influenti riveste scientifiche al mondo (insieme alla concorrente americana Science) pubblica un articolo dal titolo: «Degranulazione dei basofili umani, indotta da alte diluizioni di un anti-siero anti-IgE».
Jacques Benveniste - 01/01/2016
Il seguente articolo è tratto da libro La mia verità sulla memoria dell'acqua di Jacques Benveniste (Macro Edizioni, 2006).
Malgrado il titolo risulti assolutamente oscuro al grande pubblico, la redazione di Nature si premura di diffondere il testo ai principali mezzi di informazione del pianeta, esattamente come accade ogni qual volta un articolo importante viene pubblicato sulla rivista.
In tutti i Paesi, la stampa dà un risalto senza precedenti all’articolo e traduce il suo contenuto in questi termini: «L’acqua potrebbe conservare un ricordo, ovvero una traccia delle sostanze che vi hanno transitato». Una vera e propria rivoluzione scientifica in nome della quale mi ritrovo subito sotto inchiesta. Alcune settimane dopo, in seguito a una “controinchiesta” condotta nel mio laboratorio da una équipe di Nature, in condizioni particolarmente sconcertanti, la rivista decide che i risultati dei miei esperimenti sono privi di fondamento. Da quel momento, ha inizio un processo di emarginazione che mi porterà dalla direzione di una delle unità di ricerche dell’Inserm1, in cui lavorano diverse decine di persone a quella di un laboratorio indipendente per il quale non sono previsti fondi di ricerca e per il cui funzionamento sono costretto io stesso a cercare finanziamenti. Il laboratorio era un vecchio prefabbricato situato nel parcheggio del centro che dirigevo.
Circa nove anni dopo, esattamente il 21, 22 e 23 gennaio 1997 il quotidiano Le Monde ritorna sulla questione. Per tre giorni consecutivi e in sei fitte pagine, il giornalista Éric Fottorino descrive quello che è ormai divenuto tra gli scienziati un “feuilleton”. L’inchiesta, accurata e onesta, è eccellente. Tuttavia la lettura mi provoca un insieme contrastante di impressioni e sensazioni: in parte positive, ma per lo più negative e dolorose. Impressioni e sensazioni di cui ho profondamente risentito negli ultimi otto anni e che mi hanno procurato un certo malessere e una certa oppressione. Un malessere provocato non tanto dalle parole di Éric Fattorino bensì dalle insulsaggini proferite dalla gran parte degli “scienziati” che il giornalista ha intervistato nel corso della sua inchiesta e dei quali si è limitato a trascriverne le dichiarazioni.
Presunti scienziati, nonché pseudoricercatori, che hanno espresso il loro giudizio sui miei lavori di ricerca sulle alte diluizioni (memoria dell’acqua) senza avere assistito agli esperimenti e senza averne confutato i risultati; alcuni sono arrivati ad accusarmi di frode scientifica senza lo stralcio di una prova. Ho ritenuto pertanto che fosse arrivato il momento di parlare in dettaglio della mia verità sulla “memoria dell’acqua”, di raccontare delle manovre, dei colpi bassi, delle vigliaccate e degli insulti di cui sono stato bersaglio, da dieci anni a questa parte. Non ho alcuna intenzione di fare del vittimismo, né tanto meno il mio intento è quello di pareggiare i conti.
Per quindici anni ho vissuto un’avventura appassionante: se non soffrissi di mal di mare, la paragonerei a un giro del mondo in solitario per l’eccitamento costante e i sussulti improvvisi! Soprattutto perché nella ricerca (volendo essere onesto con me stesso), devo ammetterlo, io ho sempre amato la competizione, il confronto e lo scontro scientifico e intellettuale, nel rispetto delle regole deontologiche. «A morte gli imbecilli!», mi ha scritto
uno scienziato a me amico abbandonando con disgusto una posizione ufficiale (senza che la cosa gli abbia impedito di continuare a occupare, e non sto scherzando, il suo posto all’Académie des sciences). Condivido questo monito e mi trovo d’accordo con il principio di fondo. Ma questa parola d’ordine, presa alla lettera, comporterebbe un genocidio scientifico. Una simile affermazione è forse indice della mia arroganza, della mia paranoia?
La paralisi dei progressi nella fisica teorica a partire dagli anni ’30, nonché la stasi della scienza in generale e in particolare della biologia, se si escludono rari exploit tecnologici, sono in grado di offrire, da soli, una parziale giustificazione a questo massacro intellettuale programmato.
Ma quali le ragioni di questo letargo?
Secondo il mio modo di vedere, il fenomeno ha almeno tre possibili spiegazioni:
1) Il predominio di Big Science/ Big Business / Big Organization.
La subordinazione in ultima istanza, della ricerca al potere economico risale al Progetto Manhattan (produzione della bomba A) che ha portato all’ingerenza e all’intromissione del governo americano nella ricerca, all’immissione di immensi capitali e alla creazione
di strutture economico-scientifiche mastodontiche. Il predominio del business può spiegare l’accoglienza tributata ai lavori sulle alte diluizioni, in grado di far traballare i grandi equilibri dell’industria farmaceutica. La libertà di pensiero è peraltro compromessa dalla politica attuata dalle grandi riviste scientifiche che si spingono oltre la loro principale e necessaria funzione di diffusione delle conoscenze, operando una censura delle idee scomode o un’azione di destabilizzazione dei loro autori. D’altra parte, se potessimo contare sulla stampa per fare le rivoluzioni (scientifiche e non), tutto questo sarebbe noto.
2) La psicologia della sudditanza ai maestri e alle verità intangibili di una Scienza trionfante.
Ne deriva una selezione operata mediante la sottomissione: per garantirsi una carriera nei grandi organismi è necessario essere allineati, giurare fedeltà al vassallo. I maestri della Scienza (professori “apparatchik”, vincitori del premio Nobel) vivono solo per le proprie idee. E queste idee, e non le loro ricerche o ciò che essi realizzano concretamente, costituiscono la loro stessa essenza.
Poco importa se i lavori che avrebbero dovuto portare a termine non saranno mai conclusi.
3) La reificazione e strumentalizzazione della Scienza, dea secolarizzata, unica speranza di un’umanità inquieta dinanzi agli enormi problemi e alle grandi sfide in materia di ambiente e di salute.
Come conseguenza si ha che in un sistema in cui tutto ciò che è propagandato dai mezzi di comunicazione e ha grande risalto mediatico ha un peso di gran lunga superiore rispetto alla nascosta azione quotidiana, un vincitore di premio Nobel può arrogarsi il diritto di affermare, impunemente e impudentemente, qualsiasi cosa in qualsiasi campo, anche se agli antipodi della propria specializzazione e delle proprie competenze.
A prescindere dalla mia vicenda personale, i fattori appena citati spiegano il Grande Freddo che è calato sulla scienza francese negli anni che precedono la Seconda Guerra Mondiale. Per questo motivo, anche se in questa sede intendo parlare della mia vicenda (la mia carriera di ricercatore
è stata paralizzata e bloccata dalla questione della memoria dell’acqua), il mio intento si fa obbligatoriamente più ampio.
Prefazione di Brian D. Josephson, Premio Nobel per la Fisica
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Mi sono scontrato e mi scontro tuttora con le istituzioni poste come guardiani e custodi di una Scienza ufficiale al di là della quale c’è il nulla.
Le mie ricerche e i loro sviluppi in campi affini sono vittime di un sistema di valutazione concepito per difendere i dogmi e i paradigmi imposti dallo stato attuale delle conoscenze scientifiche. Il mio scopo è quindi descrivere e denunciare le procedure di inibizione, di censura e di imbavagliamento perché è in gioco il futuro stesso di tutta la ricerca biologica (e di conseguenza della biomedicina, e questo coinvolge direttamente ciascuno di noi). Ed è proprio la ricerca biologica a conoscere un momento di crisi che è evidente a livello mondiale, ma che è ancor più marcato nel nostro Paese, per il vecchiume delle istituzioni e il modo di pensare francese.
Sono convinto che saremo in grado di uscire da questa situazione soltanto se saremo capaci di liberare il pensiero scientifico omologato e uniformato (e dunque iniquo) che attualmente ci governa, dalla gogna che lo attanaglia.
Il seguente articolo è tratto da libro La mia verità sulla memoria dell'acqua di Jacques Benveniste (Macro Edizioni, 2006).