La cosiddetta MORTE CEREBRALE
Prof. Dott. Franco Rest - 01/01/2016
In relazione alla tematica della “donazione di organi”, tutte le riflessioni si concentrano sempre e solo sui soggetti in attesa di trapianto, perdendo quasi completamente di vista la vita dei “donatori di organi”, individui che perlopiù hanno subito un incidente. Se si potesse chiedere ai moribondi come desiderano morire, dalle loro risposte emergerebbero le seguenti caratteristiche: chi sta per morire vorrebbe terminare la propria vita indisturbato, senza indugio, senza fretta, nel rispetto della personalità, socialmente integrato, accompagnato spiritualmente, sotto terapia del dolore, lasciato andare ma non solo, per conto proprio ma non abbandonato, assistito, in pace con se stesso e con il proprio ambiente, sazio di vita; mentre ai suoi familiari e amici augurerebbe un lutto durevole che lo accompagni e lo segua.
Se osserviamo queste parole chiave dobbiamo constatare che la medicina dei trapianti non ha quasi più niente a che vedere con questo “desiderio di morte” delle persone. Il libro di Renate Greinert ne è una conferma sotto tutti i punti di vista. Non essendo cadaveri, ma individui che, nonostante sia possibile prevedere quando subentrerà la loro morte, non hanno ancora completato il processo di abbandono della vita, i cosiddetti morti cerebrali necessitano di un particolare accompagnamento. Mentre si muore si vive ancora intensamente. Quando una persona è in fin di vita, dovremmo smettere di cercare di contrastare la morte, tanto la sua quanto quella di un individuo in attesa di trapianto, ma consentire al moribondo di vivere fino in fondo la propria morte. Ma poiché il suo interesse è concentrato sulla vita del ricevente, la medicina dei trapianti finisce per perdere di vista la conclusione della vita del morente e dei suoi familiari. È per questo motivo che le voci sopraelencate che descrivono la “morte ideale” sono diventate così importanti per noi.
Morte Cerebrale e Donazione degli Organi
Indisturbato: non ci intromettiamo nella morte poiché è qualcosa che appartiene solo al moribondo. Ma nella maggior parte dei casi i prelievi di organi sono intromissioni di estrema brutalità. È la persona morente che deve poter plasmare la propria morte, non i medici. Accompagnamento significa non intromettersi, trattenersi dall'usare qualsiasi genere di misura che ritardi la morte, come ad esempio quelle necessarie alla preparazione per un prelievo di organi.
Senza indugio: “l'accompagnamento relazionale” non prevede i rallentamenti della morte necessari per il prelievo di un organo. Nei soggetti che stanno effettivamente morendo, le trasfusioni di sangue, la ventilazione, gli analgesici e gli anestetici hanno senso solo se favoriscono il decorso della morte. La procedura di diagnosi e verbalizzazione di morte cerebrale può protrarsi per svariati giorni. In oltre il 30% dei casi il prelievo degli organi è avvenuto più di dodici ore dopo la constatazione della morte cerebrale.
Senza fretta: questo si riferisce in primo luogo a tutte le forme di morte assistita attiva o di eutanasia. La speranza che il prelievo di un organo abbrevi il decorso della morte è illusoria.
Nel rispetto della personalità: il moribondo che viene accompagnato non è “il polmone o il cuore o il fegato della stanza X”. La sua morte è qualcosa di individuale e singolare. Sappiamo solo che l'essere umano muore, ma ignoriamo il come, che è determinato solo dalla sua personalità e non dalle apparecchiature, dalle équipe mediche, dalle costellazioni di interessi ecc. Nel prelievo di organi si tende a dare per scontata la perdita della personalità da parte del morente.
Socialmente integrato: nessun moribondo dovrebbe essere strappato ai suoi legami e rapporti sociali (famiglia, amicizie). Anche i parenti, a loro volta, non dovrebbero essere lasciati soli nello svolgimento di questo compito. Invece, in caso di prelievo degli organi, i morenti vengono separati da familiari e amici.
Accompagnato spiritualmente: nonostante la cosiddetta morte cerebrale, è probabile che in vista della morte le persone continuino
ad avere immagini, visioni e desideri propri. Proprio lungo il percorso comune di morenti e familiari si verificano molte cose che spesso vanno perdute nello svolgimento dei trapianti. Per coloro che restano la morte si scompone, così che all'improvviso ci sono varie morti e anche vari commiati: la morte diagnosticata in seguito alla diagnosi di morte cerebrale, la morte effettiva dopo l'asportazione degli organi e poi la morte definitiva. Le immagini, le visioni e i desideri ad essa connessi entrano in confusione.
Sotto terapia del dolore: l'accompagnamento alla morte è anche controllo del dolore mediante le cure palliative e le relazioni; molti dolori si intensificano in mancanza di amore e attenzioni. Nel trapianto viene a mancare il controllo di eventuali stati dolorifici nel morente; i parenti vengono visti come fattore di disturbo. L'uso di anestetici in preparazione al prelievo degli organi non attenua minimamente la gravità di questa constatazione.
Lasciato andare, ma non solo: è precisamente in quest'arco di tensione che Renate Greinert ha cercato di sopravvivere mentre voleva lasciar andare suo figlio, senza però lasciarlo solo. E lui non è morto per conto proprio, ma abbandonato; questo è lo strazio della morte descritta in questo libro.
Assistito: nonostante le numerose persone da cui è circondato, l'assistenza al morente viene a mancare quasi del tutto nel prelievo degli organi. L'assistenza è il dono che le persone vicine al moribondo gli fanno “scortandolo” al bivio della morte.
In pace con se stesso e con il proprio ambiente: nessuno si preoccupa della pace di cui è in cerca il moribondo. L'atmosfera del trapianto è più frenetica che pacifica, e non si muore “sazi di vita”, anche se la morte più piacevole è proprio quella di chi ha potuto vivere appieno la propria esistenza. L'assistenza alla morte dovrebbe contribuire a questa sazietà, e può morire sazio di vita solo colui al quale è stato concesso di vivere fino in fondo. Chi ha ancora fame di vita dovrebbe aspettarsi di ricevere nutrimento vitale, ma non “a spese” di qualcun altro. La fame di vita di una persona in attesa di trapianto non può essere placata negando il nutrimento vitale a un morente. Chi sta morendo in seguito a un incidente auspicherebbe inoltre per la sua famiglia e i suoi amici un lutto che lo accompagni e lo segua. Il lutto che accompagna la persona cara nel suo viaggio verso la morte è ampiamente ostacolato dalle condizioni vigenti nei centri di trapianto: mancanza di una vera apertura nell'elaborazione della perdita, gestione opprimente del tempo a causa dei processi stabiliti, assoggettamento alle esigenze del trapianto, allontanamento del morente dai congiunti, mancanza di partecipazione agli ultimi attimi di vita e alla morte. E piangere un cadavere che ha perso i propri organi è un lutto snaturato, crudele e insostenibile.
Fonte: Renate Greinert, Morte Cerebrale e Donazione degli Organi
per approfondire vedi anche: http://www.scienzaeconoscenza.it/articolo/morte-coscienza.php