La biochimica delle emozioni - seconda parte
Nuova Biologia
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Quando avremo dimostrato la misura in cui le emozioni (espresse tramite molecole e neuropeptidi) influenzano il corpo, diventerà chiaro come esse possono essere una chiave per capire la malattia
Candace Pert - 27/11/2019
A questo punto voglio introdurre nel quadro il sistema immunitario. Ho già spiegato che il sistema degli ormoni, che storicamente è stato considerato separato dal cervello, è concettualmente la stessa cosa del sistema nervoso. Grandi quantità di succhi sono rilasciati e si diffondono molto lontano, agendo tramite la specificità dei recettori in punti assai distanti da quelli che in cui vengono immagazzinati. Quindi, l’endocrinologia e la neuroscienza sono due aspetti dello stesso processo. Ora sosterrò che anche l’immunologia fa parte di questo sistema concettuale e quindi non andrebbe considerata una disciplina separata.
Una proprietà fondamentale del sistema immunitario è che le cellule si muovono. Altrimenti sarebbero identiche alle cellule fisse del cervello, con i loro nuclei, membrane cellulari e tutti i recettori. I monociti, per esempio, che ingeriscono gli organismi estranei, cominciano la vita nel midollo osseo, quindi si spargono viaggiando nelle vene e nelle arterie, decidendo dove andare in base a indizi chimici. Un monocite viaggia nel sangue e a un certo punto arriva sufficientemente vicino a un neuropeptide, e poiché il monocite ha nella sua superficie recettori per il neuropeptide, comincia letteralmente a “strisciare” per chemiotassi verso la sostanza chimica. Di questo esistono molte prove e ci sono ottimi modi per studiare il fenomeno in laboratorio.
Ebbene, i monociti sono responsabili non solo del riconoscimento e dell’eliminazione dei corpi estranei, ma anche della guarigione delle ferite e della riparazione dei tessuti. Quindi, ciò di cui stiamo parlando sono cellule fondamentali, alla base della vita.
La nuova scoperta che qui voglio sottolineare è che ogni recettore di neuropeptide che abbiamo cercato (usando un sistema elegante e preciso sviluppato dal mio collega Michael Ruff) esiste anche nei monociti umani. Questi ultimi hanno recettori per gli oppiacei, per il PCP, per un altro peptide chiamato bombasina, etc. Sembra che queste sostanze biochimiche che influenzano le emozioni controllino il percorso e lo spostamento dei monociti, i quali sono fondamentali per il sistema immunitario. Essi comunicano con le cellule B e T, interagiscono con tutto il sistema per contrastare la malattia, distinguere l’io dal non-io, decidere quale parte del corpo è una cellula tumorale da uccidere mediante cellule killer naturali e quali parti hanno bisogno di essere riparate. Spero che questo quadro vi si sia chiaro.
Un monocite è in circolazione dentro al sangue, quando la presenza di un oppiaceo lo attira, e può connettersi al neuropeptide perché ha il recettore per farlo. Di fatto, esso ha molti recettori per molti neuropeptidi.
Pare, inoltre, che le cellule del sistema immunitario non solo hanno recettori per questi diversi neuropeptidi, ma che producono da sole i neuropeptidi, come sta diventando sempre più chiaro. Esistono sottoinsiemi di cellule immunitarie che creano le beta endorfine, per esempio, e gli altri peptidi oppiacei. In altre parole, queste cellule immunitarie stanno producendo le stesse sostanze che secondo noi controllano l’umore nel cervello. Esse controllano l’integrità dei tessuti nel corpo e producono anche le sostanze chimiche che controllano l’umore. Ancora una volta, corpo e mente.
La mente come insieme di informazioni
Cosa significa questo tipo di connessioni tra corpo e cervello? Di solito a esse ci si riferisce come al potere della mente sul corpo. Per quanto mi riguarda, questa frase non descrive ciò che stiamo facendo. Io mi spingerei più in là. Tutti conosciamo il pregiudizio occidentale secondo cui la consapevolezza è unicamente nella testa. Io credo che le scoperte da me esposte dimostrano la necessità di cominciare a chiederci in che modo la consapevolezza può essere proiettata in varie parti del corpo. Quando avremo dimostrato la misura in cui le emozioni (espresse tramite molecole neuropeptidi) influenzano il corpo, diventerà chiaro come esse possono essere una chiave per capire la malattia. Sfortunatamente, la gente che pensa queste cose di solito non lavora in un laboratorio governativo.
La mia tesi è che le tre classiche aree della neuroscienza, dell’endocrinologia e dell’immunologia, con i loro diversi organi – il cervello (che è l’organo fondamentale studiato dai neuroscienziati), le ghiandole e il sistema immunitario (costituito dalla milza, il midollo spintale, i linfonodi e naturalmente dalle cellule in circolazione nel corpo) – sono in realtà unite da una rete di comunicazioni bi-direzionali e che i “portatori” di informazioni sono i neuropeptidi. Esistono substrati fisiologici ben studiati che dimostrano come la comunicazione avvenga in entrambe le direzioni per ognuna di queste aree e dei loro organi. Alcune ricerche risalgono a molti anni fa, altre sono recenti.
La parola che mi preme sottolineare, in questo sistema integrato, è rete, che viene dalla teoria delle informazioni. Infatti, tutto ciò di cui abbiamo parlato finora sono informazioni. In tale contesto, quindi, potrebbe essere più appropriato enfatizzare la prospettiva psicologica – letteralmente, lo studio della mente – piuttosto che quella della neuroscienza. Una mente è composta di informazioni e ha un substrato fisico, cioè il corpo e il cervello; inoltre, possiede un altro substrato immateriale che ha a che fare con il flusso di informazioni. Quindi, forse la mente è costituita dalle informazioni che scorrono tra tutte queste parti del corpo. Forse la mente è ciò che tiene insieme la rete.
L’Unità della Varietà
L’ultima cosa che voglio dire dei neuropeptidi è davvero sorprendente. Come abbiamo visto, i neuropeptidi sono molecole che mandano segnali. Essi inviano messaggi in tutto il corpo (incluso il cervello). Naturalmente, per avere un tale sistema di comunicazioni, occorrono componenti in grado di parlarsi e ascoltarsi. Nel nostro contesto, i componenti che “parlano” sono i neuropeptidi, mentre quelli che ascoltano sono i loro recettori. Come può essere questo? In che modo cinquanta, sessanta neuropeptidi nascono, viaggiano e parlano a cinquanta, sessanta varietà di recettori in ascolto, situati su vari tipi di cellule? Come mai regna l’ordine anziché il caos?
La scoperta di cui voglio parlare non è totalmente accettata, ma i nostri esperimenti dimostrano la sua validità. Non l’ho ancora pubblicata, ma penso che la sua conferma da parte di tutti sia solo una questione di tempo.
Esistono migliaia di scienziati che studiano i recettori degli oppiacei e i peptidi oppiacei. Essi osservano una grande eterogeneità nei recettori, che hanno chiamato con nomi greci. Ma tutti i dati dei nostri esperimenti lasciano pensare che in realtà esiste un solo tipo di molecola nei recettori oppiacei: una lunga catena di polipeptidi di cui si può scrivere la formula. Questa molecola è capace di cambiare conformazione all’interno della sua membrana, in modo da assumere varie forme.
Di passaggio, noto che tale interconversione può avvenire a velocità così elevata che è difficile dire se in un dato momento la molecola si trovi in uno stato o nell’altro. In altre parole, i recettori hanno allo stesso tempo la natura di onda e di particella, ed è importante osservare che le informazioni vengono memorizzate in base alla forma avuta in quel momento.
Come ho detto, l’armonia molecolare dei recettori è straordinaria. Considerate il tetrahymena, un protozoo che è uno degli organismi più semplici. Nonostante la sua semplicità, il tetrahymena può fare praticamente tutto ciò che noi sappiamo fare: mangiare, avere attività sessuali e naturalmente produrre gli stessi neuropeptidi di cui sto parlando. Il tetrahymena sintetizza l’insulina e le beta endorfine. Abbiamo preso le membrane del tetrahymena e studiato in particolare i recettori degli oppiacei presenti in esse; abbiamo studiato il recettore degli oppiacei anche nel cervello dei topi e nei monociti umani.
Crediamo di aver dimostrato che la sostanza molecolare di tutti i recettori oppiacei è la stessa. La molecola del recettore degli oppiacei nel cervello umano è identica a quella di quel semplicissimo animale, il tetrahymena. Spero che le implicazioni di ciò siano chiare. Il recettore degli oppiacei nel mio e nel vostro cervello è, alla radice, fatto della stessa sostanza molecolare del tetrahymena.
Questa scoperta ci fa riflettere sulla semplicità e l’armoniosità della vita. È paragonabile alle quattro coppie di base del DNA che codificano la sintesi di tutte le proteine, che sono il substrato fisico della vita. Ora sappiamo che in questo substrato fisico esistono solo circa sessanta molecole segnalatrici, i neuropeptidi, che regolano la manifestazione fisiologica delle emozioni o, se preferite, il modo in cui esse vengono espresse o, ancora meglio, il flusso di energia. Il protozoo tetrahymena dimostra che i recettori non diventano più complessi man mano che un organismo è più evoluto. Le stesse componenti molecolari alla base del flusso delle informazioni si conservano per tutta l’evoluzione. L’intero sistema è semplice, elegante e può benissimo essere completo.
La mente è nel cervello?
Abbiamo parlato della mente, e sorge la domanda: dove si trova? Nel nostro lavoro, la consapevolezza è emersa studiando il dolore e la sua modulazione operata dai recettori degli oppiacei e dalle endorfine. Molti laboratori stanno misurando il dolore e siamo tutti d’accordo nel dire che l’area chiamata grigio periacqueduttale, situata intorno al terzo ventricolo del cervello, è piena di recettori oppiacei che ne fanno una sorta di area di controllo del dolore. Abbiamo anche scoperto che il grigio periacqueduttale è pieno di recettori per praticamente tutti i neuropeptidi studiati.
Ebbene, tutti sanno che esistono yogi capaci di avvertire o meno il dolore, grazie al modo in cui strutturano la loro esperienza. Le partorienti fanno la stessa cosa. Apparentemente, queste persone sembrano capaci di attingere al loro grigio periacqueduttale. In qualche modo ne hanno accesso – tramite la loro consapevolezza, credo – e cancellano il dolore. Osservate quanto sta avvenendo. In queste situazioni, una persona ha un’esperienza che porta con sé dolore, ma una parte di quella persona fa consapevolmente qualcosa per cui non avverte il dolore. Da dove viene questa consapevolezza – questo io conscio – che in qualche modo ha accesso al grigio periacqueduttale, rendendo lui/lei capace di non avvertire una cosa?
Vorrei tornare all’idea di rete. Una rete è diversa da una struttura gerarchica in cui esiste un vertice. Teoricamente puoi entrare in una rete in un punto qualsiasi e dirigerti dove preferisci. Secondo me, questa idea è utile per spiegare il processo tramite il quale una consapevolezza riesce a raggiungere il grigio periacqueduttale, usandolo per controllare il dolore.
Gli yogi e le partorienti usano entrambi una tecnica simile per controllare il dolore: il respiro. Anche gli atleti vi fanno ricorso. Il respiro è estremamente potente. Io ipotizzo che dietro questi fenomeni ci sia un substrato fisico, i nuclei del tronco encefalico. Direi che ora dovremmo includere questi ultimi nel sistema limbico, perché sono punti nodali fittamente ricoperti di neuropeptidi e dei loro recettori.
L’idea, quindi, è questa: il respiro ha un substrato fisico che è anche un punto nodale; questo punto nodale fa parte di una rete di informazioni in cui ogni parte conduce a tutte le altre parti e così, dal punto nodale dei nuclei del tronco encefalico, la consapevolezza può, tra le altre cose, avere accesso al grigio periacqueduttale.
Penso che ora sia possibile concepire la mente e la consapevolezza come un prodotto del processo di elaborazione delle emozioni; in quanto tali, mente e consapevolezza sembrano indipendenti dal cervello e dal corpo.