Biofilia: il legame genetico fra uomo e natura
Nuova Biologia
Nuova Biologia
Nei nostri geni c'è un legame istintivo con la natura e con gli organismi viventi con cui condividiamo il nostro pianeta.
Romina Alessandri - 01/01/2020
Nel 1984 Edward O. Wilson, biologo dell’Università di Harvard ed entomologo, ha coniato il termine “biofilia” per descrivere la sua ipotesi secondo cui gli esseri umani avrebbero “impresso” nei geni un legame istintivo con la natura e con gli organismi viventi con cui condividiamo il nostro pianeta. Wilson ha teorizzato che, poiché abbiamo trascorso la maggior parte della nostra storia evolutiva (tre milioni di anni e centomila o più generazioni) nella natura prima di iniziare a formare delle comunità o costruire città, noi proviamo un amore innato per i paesaggi naturali. Come un bambino dipende da sua madre, gli esseri umani sono sempre dipesi dalla natura per la loro sopravvivenza.
E proprio come istintivamente amiamo nostra madre, siamo legati alla natura fisicamente,
cognitivamente ed emotivamente. Non siete venuti in questo mondo. Ne siete usciti,
come un’onda dall’oceano.
Qui non siete degli stranieri.
– Alan Watts
Questa predilezione per madre natura ha un profondo impatto estetico. Il defunto Denis Dutton, un filosofo il cui interesse centrale era rivolto al punto d’incontro tra arte ed evoluzione, riteneva che ciò che consideriamo “bello” risultasse dal nostro collegamento innato con quel tipo di paesaggio naturale che un tempo assicurava
la nostra sopravvivenza come specie.
Durante una conferenza TED dal titolo A Darwinian Theory of Beauty [Una teoria darwiniana della bellezza; N.d.T.], Dutton espose delle scoperte basate sulla psicologia evolutiva e su un’inchiesta del 1997 relativa alle preferenze artistiche contemporanee.
Quando alle persone veniva chiesto di descrivere un “bel” paesaggio, egli osservò, gli elementi erano sempre gli stessi: spazi aperti, ricoperti di erba bassa, costellati di alberi.
Se a questa scena si aggiunge l’acqua, o in primo piano o come una lontana apparizione bluastra che all’occhio appare come un’indicazione della sua presenza, l’attrattiva di quel paesaggio va alle stelle.
Dutton ipotizzò che questo “paesaggio universale” contenesse tutti gli elementi indispensabili alla sopravvivenza umana: erba e alberi per cibarsi (e per attirare animali commestibili), la possibilità di scorgere il pericolo (umano o animale) in avvicinamento prima che ci raggiunga, alberi su cui arrampicarsi per sfuggire ai predatori, e la presenza di una fonte d’acqua accessibile nelle vicinanze.
La natura e il suo effetto sulla psiche umana
Nel 2010 alcuni ricercatori dell’Università di Plymouth nel Regno Unito hanno chiesto a venti adulti di esprimere una valutazione nei confronti di oltre cento fotografie di ambienti naturali e urbani diversi. Per quanto riguardava la positività dello stato d’animo evocata, le loro preferenze e la capacità rigenerante percepita, gli intervistati hanno assegnato voti più alti a tutte le immagini contenenti acqua, che rappresentassero tanto paesaggi naturali quanto ambienti urbani, rispetto alle foto in cui l’acqua non era presente.
Marcus Eriksen, un educatore scientifico che una volta navigò dalla costa statunitense dell’oceano Pacifico alle Hawaii sopra una zattera interamente fatta di bottiglie di plastica, ha esteso l’ipotesi di Dutton fino a includere le coste marine e le rive dei laghi o dei fiumi. La sua ipotesi è che proprio come la savana ci permetteva di avvistare un pericolo a grande distanza, gli abitanti delle linee costiere potevano scorgere predatori o nemici che arrivavano dall’acqua.
Wallace J. Nichols
Blue Mind
Il legame nascosto tra l'acqua e la nostra mente
Macro Edizioni
|
Ancor meglio, raramente i predatori terrestri giungevano dall’acqua, e la maggior parte dei predatori marini non poteva uscire dall’acqua o sopravvivere sulla terraferma. E, sempre meglio, la quantità di cibo e di risorse materiali reperibili nell’acqua o vicino ad essa spesso sorpassava quanto poteva essere trovato sulla terraferma. Le fonti di cibo vegetale e animale si possono esaurire durante l’inverno, ha osservato Eriksen, ma i nostri antenati potevano pescare o raccogliere molluschi per tutto l’anno. E poiché per sua natura l’acqua si muove e scorre, invece di doversi spostare per chilometri alla ricerca di foraggio, i nostri antenati potevano camminare lungo una spiaggia o la riva di un fiume e vedere che cosa l’acqua avesse portato, o che cosa fosse arrivato sulla sua sponda.
Mentre gli esseri umani stavano sviluppando una preferenza evolutiva per un certo tipo di paesaggio che comprendeva l’acqua, il cervello umano veniva a sua volta plasmato dalle esigenze ambientali.
Infatti, secondo il biologo molecolare John Medina, il nostro cer vello si sviluppò per «risolvere problemi collegati alla sopravvivenza in un ambiente esterno instabile, e a farlo in un movimento quasi costante». Immaginate di essere uno dei nostri antichi antenati Homo Sapiens, che viveva in quel paesaggio ideale della savana più di duecentomila anni fa.
Anche se voi e la vostra famiglia avete abitato questo particolare luogo per un certo tempo, dovete comunque essere sempre all’erta nei confronti di qualunque minaccia significativa o potenziale fonte di cibo. Ogni giorno porta nuove condizioni: il tempo atmosferico, animali, frutti, e altre piante commestibili. Se esaurite certe fonti di cibo dovete cercarne altre, il che significa una costante esplorazione del vostro ambiente per imparare nuove cose riguardo al luogo in cui vi trovate e a eventuali ulteriori fonti di cibo e di acqua disponibili per voi e per la vostra famiglia. Forse incontrate nuove piante o animali, alcuni dei quali sono commestibili, a differenza di altri. Imparate dai vostri errori cosa raccogliere e cosa evitare.
E mentre voi e i vostri figli apprendete, il vostro cervello viene modellato e modificato da molteplici forze: le vostre esperienze individuali, le vostre interazioni sociali e culturali, e il vostro ambiente fisico. Se doveste sopravvivere e riprodurvi, una parte di quel nuovo cablaggio verrà trasmesso ai vostri discendenti sotto forma di un cervello più complesso. Ulteriori informazioni utili alla sopravvivenza saranno codificate socialmente in vivaci storie e canti.
Questo articolo, a cura di Romina Alessandri, è un estratto del libro "Blue Mind" Mente e Acqua - Macro Edizioni 2016.