Quando l'amore è patologico?
Psicologia Quantistica
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Capire i meccanismi biochimici alla base dell’innamoramento e dell’amore ci aiuta ad avere consapevolezza dei nostri sentimenti
Carmen Di Muro - 03/06/2019
Ci innamoriamo allo stesso modo in cui inciampiamo, apparentemente per caso, senza volerlo e senza averlo programmato. Il nostro centro di gravità emotiva si sposta e noi ruzzoliamo nelle mani della sorte. “Innamorarsi” è come ritrovarsi in una scena dell’antica Grecia, dove la theia mania ci può fulminare per il capriccio di una divinità qualsiasi.
Anche se ci piace pensare all’amore come un’esperienza fatale, misteriosa e trascendente, la realtà è molto diversa. L’amore spesso svela il nostro più latente lato “folle”. La singolare caratteristica della ricerca sull’amore del XX secolo è che, di rado, ha potuto trattenersi dall’utilizzare il linguaggio della psicopatologia. Gli amanti sono maniaci, ossessivi, soffrono di attacchi d’ansia e si disperano.
Cosa si intende per amore patologico?
L’amore patologico (PL) è caratterizzato da comportamenti ripetitivi volti ad accudire in maniera incontrollata il partner, dedicandogli attenzioni costanti nel quadro di una relazione sentimentale. Il comportamento tipico del PL assume un ruolo fondamentale nei soggetti che ne sono affetti al punto da incidere negativamente su altri interessi preesistenti. Si tratta di una manifestazione amorosa in virtù della quale, la persona, sperimenta un sentimento possessivo incentrato sul bisogno dell’altro. La patologia può manifestarsi nella sua forma primaria, ovvero isolata, in soggetti molto insicuri, dominati da sentimenti di rifiuto, abbandono e rabbia. Altrimenti, può associarsi a disturbi psichiatrici, soprattutto depressione e ansia. Allorquando il PL si manifesta quale forma secondaria, intrattenere rapporti patologici fonte di sofferenza costituisce comunque un sollievo da altri sintomi.
Il fatto che tante persone vivano l’amore in modo sgradevole, eppure continuino a inseguirlo, ha lasciato per lungo tempo i ricercatori perplessi. In genere, tutti noi sappiamo che non si persevera in comportamenti che portano infelicità. L’eccezione si presenta, invece, nel caso si faccia ricorso ad agiti automatici che silenziano il frastuono dell’energia emotiva mettendo sotto scacco il pensiero. Il miglior esempio per descrivere questo stato è il “fenomeno dell’addiction”.
Una forma di dipendenza
La casistica indica che il PL presenta caratteristiche cliniche sovrapponibili alla dipendenza da alcol, da droghe, ma anche da altre attività. Il dato è stato corroborato dalla ricerca di alcuni studiosi presso il Control Disorder Outpatient Clinic (AMITI: Clinica per pazienti affetti da disturbi del controllo dell’impulsività) dove è stato possibile osservare e trattare 64 soggetti per un periodo di due anni. I ricercatori hanno confrontato i criteri proposti dall’American Psychiatric Association per valutare le sostanze in grado di indurre dipendenza con le caratteristiche rilevate nei soggetti affetti da PL.
In tal modo hanno proposto 5 criteri per diagnosticare il PL:
- segni e simboli di astinenza in assenza del partner (insonnia, tachicardia, tensione muscolare, letargia, attività intensa);
- intensificarsi del comportamento di accudimento e preoccupazione nei confronti del partner, tanto da lamentarsene;
- mancanza di controllo rispetto al proprio comportamento, per cui si verificano tentativi fallimentari di interrompere il rapporto nocivo;
- dispendio di tempo dedicato a controllare il partner e abbandono di altre attività sociali;
- mantenimento del legame patologico nonostante i danni familiari, personali e professionali dallo stesso provocati.
Tutte queste caratteristiche sono chiaramente tipiche degli innamorati. Inoltre, amore e dipendenza mostrano ulteriori affinità riguardo al mutamento dei fattori che li fanno durare nel tempo. All’inizio la dipendenza è sostenuta dal piacere, ma tale intensità gradualmente diminuisce, finché a sostenerla è il desiderio di evitare la sofferenza. Lo stesso vale per l’amore, in quanto nella gran parete dei casi le relazioni finiscono sul fondarsi non sul piacere, ma sulla volontà di evitare il dolore associato alla separazione.
Il corpo: una fonte naturale di sostanze dopanti
Lo psichiatra americano M. Liebowitz affermò che si potevano raccogliere indizi sulla chimica alla base dell’amore individuando le analogie tra le diverse fasi dell’amore e gli effetti di sostanze psicoattive. L’iniziale slancio di eccitazione accostato all’innamoramento poteva essere associato a sostanze chimiche simili alle anfetamine o ad altri stimolanti (come la cocaina). Stati di tranquillità o sicurezza, invece, erano influenzati da composti analoghi ai narcotici (come eroina, oppio o morfina), ai tranquillanti (come il valium) o ai sedativi (come barbiturici, alcol e cannabis). Inoltre, Liebowitz sostenne che le esperienze più trascendenti legate all’amore, come l’accresciuta percezione della bellezza, l’impressione di eternità e altre sensazioni spirituali erano veicolate da sostanze simili agli psichedelici (come LSD, mescalina e psilocybin). In questo senso il corpo umano può essere visto come una grande farmacia naturale che produce anfetamine, barbiturici e psichedelici e questo spiegherebbe perché l’amore viene tanto spesso paragonato alla dipendenza.
Per esempio, una delle sostanze chimiche più importanti che vengono liberate quando due potenziali amanti si incontrano è la feniletilamina (PEA), un composto simile all’anfetamina che risolleva l’umore e il livello di energia. Di solito ad essa si associa il rilascio di ormoni della paura che acuiscono i sensi, come l’adrenalina e la noradrenalina. Il potente cocktail di PEA e ormoni attacco/fuga genera uno stato di vertiginosa eccitazione: un flusso di energia potentissima. Tutto ciò mette in risalto il perché si desideri l’amore con tanta intensità, ma anche perché interrompere un’avventura romantica nelle sue fasi iniziali sia così doloroso. Anche se la coppia non si conosce abbastanza a fondo, il rifiuto può essere devastante in quanto il livello di PEA crolla di colpo e, proprio come un tossicodipendente, l’amante cade in uno stato depresso e agitato.
L’affermazione di Liebowitz secondo cui c’è molto da imparare dalle corrispondenze tra gli effetti dell’amore e quelli delle sostanze psicoattive si è rivelata una pietra miliare, che ha dato il via a un corpo sempre più ampio di ricerche biochimiche a supporto della sua tesi.
L’amore è una “molecola potentissima”: la forza fondamentale che presiede il benessere psicofisico. E avvicinarsi all’amore con un’ottica scientifica, comprendere le sue dinamiche patologiche, imparare a riconoscere i processi biologici che lo sottendono non attenuerà l’intensità con cui lo viviamo, non spegnerà la sua meraviglia ma, anzi, potrà aiutarci a lenire la sofferenza che spesso si lega a queste condizioni e che molto spesso può sfociare in patologia a tutti i livelli. La biologia non degrada i sentimenti, ma ci rende consapevoli del fatto che la loro origine è nel nostro essere e farci corpo.
Riconoscere che l’amore è un’energia dinamica che alberga dentro di noi, nel profondo della nostra anima, diviene il mezzo per riconoscere in pieno la sua grandezza. Grandezza che diviene ancora maggiore quando, vivendo pienamente nell’amore, l’uomo diventa capace di superare se stesso.
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