Alan Turing: il padre dell'informatica
Scienza e Fisica Quantistica
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Alan Turing (1912-1954), celebre matematico e crittografo londinese, è da molti considerato, a torto o a ragione, uno dei padri putativi dell’attuale informatica.
Emanuele Cangini - 24/05/2022
Il giovane matematico, fin da bambino, manifestò la propria genialità che purtroppo non venne accolta con la giusta saggezza da parte di quei professori che, per loro formazione ed erudizione, davano legittima precedenza agli studi classici.
Aspetto questo che impresse grandi difficoltà al percorso iniziale di studio di Turing, ma che tuttavia non lo scoraggiò; la sua polivalenza di interessi gli permise di spaziare dalla religione alla fisica, dal latino alla chimica, sino al gioco degli scacchi.
Dobbiamo a lui, certamente, l’ufficializzazione del concetto di algoritmo (processo atto a risolvere un problema mediante un numero conosciuto e determinato di passaggi sequenziali) e la relativa creazione della “Macchina di Turing” (ritenuta antesignana degli attuali PC, la prima macchina capace di svolgere algoritmi in sequenza). Ho poc’anzi scritto crittografo non a caso (non dimentichiamo cosa sia la crittologia: una disciplina che si occupa di “decodificare” messaggi volutamente celati).
Durante la seconda guerra mondiale Turing fece parte di un selezionato e capace manipolo di esperti, opportunamente scelti dalla governance inglese, al fine di intercettare e decodificare la corrispondenza volutamente offuscata degli avversari dell’asse Roma-Berlino.
Il dramma umano di Alan Turing
Durante l’anno 1947-1948, ritornato a Cambridge, esaurite le mansioni volte allo sforzo bellico, dirottò le proprie energie e attenzioni sugli sport podistici, riuscendo addirittura a imporsi quale vincitore nelle dispute sulle tre e dieci miglia (1 miglio=1,61 km), riuscendo, al contempo, a ottenere buoni risultati nella maratona. Successi che si aggiunsero a quello, di matrice indubbiamente più intellettuale, pervenuto nel 1951, quando eletto membro della Royal Society, si attivò con caparbia applicazione, in seno alla Università di Manchester, alla realizzazione del Manchester Automatica Digital Machine (MADAM).
Proprio sul più bello, un malaugurato giorno del 1952, il 31 marzo per la precisione, ecco accadere quanto di più sventurato e inaspettato, quanto di più nefasto e indesiderabile si potesse volere: una denuncia di furto, esposta da Turing, diede spunto all’autorità giudiziaria londinese per procedere all’arresto dello stesso, emettendo come “capo di imputazione” la derivata ammissione di omosessualità, in conseguenza alla pressante sequenza di domande imposta dal corpo di polizia. Emessa dal tribunale la condanna per reato di omosessualità, venne lui imposta la barbara scelta tra due anni di detenzione e la castrazione chimica attuata per mezzo di assunzione di ormoni estrogeni. Turing optò per la seconda opzione, tanta era la volontà di sfuggire alla prigione, e con sconfitta rassegnazione dovette sottoporsi per ben dodici mesi a tale violenta e offensiva pratica (volta al calo della libido per effetto di alterazione ormonale).
Scelta forte, coraggiosa, ma che certo non fu gratuita e priva di conseguenze, mostrando al mondo intero quanto simile presa di posizione fosse sinonimo di depressione e malessere; una condizione disperata, di sofferenza inaudita, difficile da cogliere a tal punto che, per chi non ne avesse condiviso le maledizioni, privò il matematico della propria dignità e del proprio onore.
La morte di Turing e le scuse del governo britannico
Come sancisce Morpheus nel film Matrix: «Al destino non manca il senso dell’ironia»…
Quella stessa mela avvelenata che addormentò Biancaneve nelle favole che tutti conosciamo, uccise Alan Turing nel 1954: l’ingestione di un boccone, contaminato da cianuro di potassio, ne determinò il suicidio. Proprio come in quella fiaba che tanto amava da bambino e che tanto lo aveva fatto sognare in notti certamente più serene.
Solamente nel 2009 sono giunte le “scuse” del governo britannico, quali ufficiali ammissioni di atti brutali e violenti che certamente non trovavano, e non trovano, legittimazione alcuna: né sul piano giuridico né su quello umano.
Ma al di sopra di tutto un fattore imprime divergenza a tutta questa vicenda: quella mela, quella stessa mela avvelenata che nella favola aveva addormentato, qui aveva ucciso; una mela che attendeva un principe risvegliatore giunto da chissà dove, ma che sarebbe arrivato.
Non quel giorno, non quel 7 giugno del 1954; quel giorno, nessuno sarebbe giunto a salvare Alan Turing.
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