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Prigogine, Aïvanhov e “il pianista sull’Oceano”

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Emanuele Cangini - 01/01/2016

Omraam Mikhaël Aïvanhov, celebre maestro spirituale di origine macedone e fondatore della Fratellanza Bianca, sosteneva quanto l’uomo potesse essere schematizzato alla stregua di un semplice triangolo: equilatero, nel migliore dei casi, ma più spesso isoscele. Disarmonia tra lati che rappresentavano mente, anima e spirito (funzioni intellettive, spirituali ed emozionali) e che racchiudevano in sole quattro opzioni tutte le tipologie umane descrivibili (il triangolo equilatero, rarissima combinazione appartenente solo ai saggi illuminati, vedeva il perfetto equilibrio dinamico tra le suddette funzioni).

Ilya Prigogine e l’irreversibilità dell’Universo
Efficace descrizione geometrica quella del triangolo, riscontrabile anche nell’indagine del famoso chimico e fisico russo Ilya Prigogine (1917-2003), Nobel per la Chimica nel 1977, la cui ricerca si dipanò oscillando tra tre cardini: sistemi complessi, strutture dissipative e irreversibilità. Concetto, l’ultimo, che possiede forti e congrui legami con la materia della Termodinamica e la coordinata dell’entropia (sempre a sua volta strettamente connessa alla Termodinamica). Nella sua profonda riflessione si determina subito un contrasto insanabile con la fisica classica che vede, da una parte, la reversibilità e il determinismo come sterili costrutti di sabbia ormai futili appigli di una fisica in affanno e, dall’altra, l’irreversibilità e l’indeterminazione come princìpi regolatori del divenire fenomenologico. Secondo Prigogine la Natura tutta è sottoposta a una continua prassi entropica, intesa questa come costante aumento del disordine dei sistemi osservati con conseguente impossibilità di ripristino delle condizioni parametriche di partenza (non dimentichiamo che persino in Termodinamica le trasformazioni termodinamiche e le conseguenti formule matematiche descriventi, fanno riferimento a ipotetiche condizioni di reversibilità, nelle quali, appunto, il processo può essere anche inteso come percorso “al contrario” potendo ripristinare in toto le condizioni vigenti all’esordio del processo trasformativo, senza impatto, quindi modifiche tangibili, sull’universo esterno); divergenza di vedute perfettamente sintetizzata nella sua opera La nuova alleanza: uomo e natura in una scienza unificata (1979). Anche il tempo stesso era sottoposto alla medesima legge dell’irreversibilità: nel saggio scritto nel 1989 assieme a Isabelle Stengers, Tra il tempo e l’eternità, Prigogine mette a nudo proprio tale aspetto: la trasformazione del paradigma concettuale del tempo reversibile a quello di tempo irreversibile. Da sempre la fisica è stata lacerata nel profondo dall’opposizione tra una impegnativa idea di eternità e un più comune e tangibile senso del tempo. L’intento dei due Autori è proprio quello di ristabilire una “conciliazione” tra le parti, non tanto in virtù di prometeiche promesse di miraggi scientifici mai raggiungibili, ma sulla più solida base di una visione forse meno poetica ma certo più pragmatica, di una possibile coesistenza tra intelligibilità del non compreso e il divenire dell’osservato e dell’osservabile.

Prigogine e il terzo periodo della fisica contemporanea
Va da sé che la titanica impresa non risulterà certo priva di ostacoli. Quello che gli Autori definiscono il “terzo periodo della fisica contemporanea” succede alle prime due fasi, nelle quali si susseguono l’iniziale tappa dei grandi modelli descrittivi e la seguente fase della descrizione dell’instabilità e della complessità delle particelle sub-atomiche. Altra opera dal forte impatto esplicativo del pensiero di Prigogine è La fine delle certezze. Il tempo, il caos e le leggi della natura, in cui l’Autore mette in luce, con lucida autorità, la precarietà delle certezze della fisica newtoniana e la loro illusorietà; le stesse altro non sono che volgari semplificazioni perniciose di una realtà tutt’altro che perfetta ed equilibrata. Anzi, quella stessa realtà viene ora vista e percepita come caotica, fluttuante e molto più leopardianamente “matrigna” di quanto non fosse fino a quel momento. Prigogine auspica nella sua coraggiosa esposizione un augurabile conciliabolo tra le già vetuste branche della fisica classica e quantistica; conciliabolo che non solo deve fonderle, ma produrre un ulteriore salto evolutivo, un nuovo approccio investigativo che faccia cardine sui concetti di strutture dissipative, instabilità dei sistemi complessi, inderogabilità delle condizioni parametriche iniziali e modello distributivo probabilistico.
Yulia Vikhman, questo era il nome della madre di Prigogine: forse non tutti sanno quanto questa mamma fosse un abile pianista. Mi piace pensare che abbia saputo trasmettere al figlio l’importanza e la preziosità di quegli 88 tasti a colori, alternati bianchi e neri: proprio come nel film Il pianista sull’oceano, nel quale uno smarrito Novecento (questo il nome del protagonista) dichiara il suo timore di non poter suonare tutte le troppe “combinazioni di tasti” che il buon Dio aveva distribuito in un mondo che aveva potuto vedere solo dall’oblò di una nave.
Sono certo che Prigogine, come Novecento, abbia intuito questa grandiosità ma che, forse, a differenza di lui, da quella barca abbia saputo scendere.


Emanuele Cangini
Emanuele Cangini nasce a Modena, dove frequenta una scuola ai indirizzo tecnico e a seguire l'Università presso la facoltà di Ingegneria... Leggi la biografia
Emanuele Cangini nasce a Modena, dove frequenta una scuola ai indirizzo tecnico e a seguire l'Università presso la facoltà di Ingegneria Meccanica.È curatore e revisore di testi per Macro Edizioni, e per la rivista Scienza e Conoscenza nonchè giornalista divulgativo e critico letterario, relatore e conferenziere. Accanito lettore, da sempre... Leggi la biografia

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