Dalla “Maestà” di Simone Martini alla fisica quantistica - prima parte
Scienza e Fisica Quantistica
Scienza e Fisica Quantistica
Il famoso dipinto del pittore senese suggerisce importanti parallelismi con l’ordine implicito di Bohm e il vuoto della teoria quantistica dei campi
Davide Fiscaletti - 05/08/2023
Scienza e arte possono essere considerate due distinte modalità con cui l’uomo si interrelaziona col mondo esterno, cercando di rispondere a domande fondamentali mediante un percorso fatto di idee, rappresentazioni, teorie e ipotesi testate in posti dove pensiero e manualità si intrecciano. Nonostante, nell’attuale spettro dei saperi e nell’opinione comune, la scienza sia vista come il regno delle certezze “oggettive”, come un insieme di ricette universali con il quale decodifichiamo un codice cosmico inscritto in una natura intesa come qualcosa di oggettivo ed immutabile, del tutto indipendente dall’osservatore, mentre l’arte venga invece considerata il campo della creatività e dell’intuitivo, apparentemente privi di regole oggettive, fondati su una ineludibile sensorialità, soggettività e irrazionalità, è evidente che arte e scienza sono legate molto più di quanto si pensi comunemente. Rilevanti parallelismi possono essere individuati tra di esse, sia come forme di conoscenza, in riferimento al tipo di verità in esse radicata, sia per il loro modo di raccontare l’universo (che non è qualcosa di asettico, oggettivo, distaccato e impersonale, ma una modalità viva e consapevole, che ci fa capire come il mondo non si possa rappresentare con un unico linguaggio e un unico punto di vista).
Come nel passato, ai tempi del Rinascimento Fiorentino, l’arte fu il linguaggio più utilizzato per trasmettere cultura nel mondo, così oggi la fisica quantistica – alla luce dei cambiamenti profondi che ha introdotto nella descrizione della natura – suggerisce la possibilità di trovare nuove forme di dialogo tra arte e scienza. È infatti possibile riscontrare nell’arte contemporanea una tendenza implicita a rappresentare il mondo microscopico invisibile descritto dalla fisica quantistica. Si pensi, per esempio, alle opere di Teresa Iaria che descrivono, in maniera mirabile, attraverso un originale linguaggio figurativo, concetti e temi della fisica teorica, come il bosone di Higgs, le teorie dei twistors, delle stringhe e dei loop, oppure all’installazione Three Solids di Attila Csörgo, apparizione poetica di impalpabili “solidi” regolari che “galleggiano” nell’aria come per magia, permettendo di rappresentare in qualche modo alcune caratteristiche del vuoto della teoria quantistica dei campi.
A mio parere, tuttavia, non solo opere d’arte contemporanee possono ricevere una rilettura diretta e finalizzata a evidenziare e ottenere alcuni aspetti fondamentali dei fenomeni descritti dalla fisica quantistica: a questo proposito la chiave di volta è rappresentata soprattutto da opere d’arte del Medioevo, quando si può dire che eravamo ancora agli albori del pensiero scientifico moderno.
Il millennio medievale, sostiene Luigi Borzacchini, costituisce una lunga fioritura da cui la scienza moderna emerge come frutto prezioso della civiltà cristiana, in seguito a una trasformazione epocale del paradigma sintattico connessa a una concezione del processo conoscitivo sempre più centrata sul ruolo attivo del soggetto e sull’importanza cruciale dei concetti – estranei all’esistenza attuale delle cose nella visione di Aristotele – di spazio vuoto, materia, moto, infinito. Io qui intendo puntualizzare questa tesi di Borzacchini proponendo l’idea che il Medioevo sia all’origine della scienza moderna come conseguenza del fatto che la pittura medievale presenta rilevanti parallelismi e connessioni con temi, risultati e teorie della fisica quantistica. In particolare, in questo articolo intendo mostrare che il dipinto della “Maestà” di Simone Martini, affrescato nella Sala del Mappamondo del Palazzo Pubblico di Siena, può essere considerato l’emblema di “affresco quantistico implicito”, che in qualche modo anticipa rilevanti temi, risultati e teorie della fisica quantistica contemporanea.
Simone Martini e la “Maestà”
Nei decenni a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, la città di Siena fu una delle città artisticamente più avanzate d’Italia. Si può affermare che in quel periodo la pittura senese visse una stagione memorabile – e per certi versi irripetibile – con la creazione di opere straordinarie per mano, soprattutto, di pittori del calibro di Duccio di Buoninsegna (Siena, 1255 circa - 1319 circa), Simone Martini (Siena, 1284 - Avignone, 1344), Pietro Lorenzetti (Siena, 1285 circa - 1348) e Ambrogio Lorenzetti (Siena, 1290 circa - 1348).
Allievo di Duccio, Simone Martini fece arrivare l’arte senese a un altissimo livello di preziosismo che trovò una straordinaria compiutezza alla luce della sua conoscenza profonda delle tecniche dell’oreficeria, nonché dell’esaltazione del ritmo della linea e della raffinatezza dei colori. Il fatto fondamentale che emerge rileggendo alcuni dipinti di Simone Martini, a mio parere, è che se la fisica quantistica cerca di andare oltre la realtà esperita data da manifestazioni e apparizioni locali e frammentarie, vedendola come proiezione di un background, di un livello più profondo, invisibile e non accessibile, dato da una rete di fluttuazioni elementari di natura non-locale e olografica (dalla teoria dell’ordine implicito del fisico americano David Bohm fino ad arrivare alle teorie quantistiche dei campi e ai moderni approcci alla gravità quantistica). In un’ottica per certi versi parallela l’arte di Simone Martini rappresenta la dicibilità del reale, con l’obiettivo di esplorare ed indagare le sue frontiere più profonde: è una sorta di ariete di sfondamento del reale, ciò che rompe le barriere corporee per acquisire conoscenza e potere sull’invisibile. La pittura di Simone Martini è una frontiera che origina un canale di significato contenuto in un livello implicito, in un palcoscenico più profondo, in assenza del quale non sarebbe possibile pervenire alla trascendenza.
La “Maestà” è di fatto la prima opera firmata e datata di Simone Martini, affrescata nella “Sala del Mappamondo” nel Palazzo Pubblico di Siena tra il 1315 e il 1318 e restaurata nel 1321 dallo stesso Simone e dalla sua bottega. Si tratta, questa, di un’opera di carattere religioso ma anche civile e politico, che si riferisce alla sovranità della Repubblica di Siena.
L’affresco può essere in qualche modo considerato il simbolo della civiltà del ‘300 in Italia, quella ugualmente fiorita con le pagine del Canzoniere di Petrarca, amico di Simone ad Avignone, o con le novelle di Giovanni Boccaccio. L’affresco evidenzia sia una completa assimilazione di tutte le componenti della formazione di Simone Martini, sia l’emergere di soluzioni nuove e moderne. Infatti, accanto all’influenza dello stile di Duccio di Buoninsegna, in particolare della Maestà dipinta dal maestro senese negli anni 1308-1311 per il Duomo di Siena, il dipinto di Simone si arricchisce di elementi che rivelano una visione più moderna, evidenziando anche spunti pittorici giunti in Italia, in particolare ad Assisi, dall’Inghilterra e dalla Francia (in particolare, riferimenti che vanno dall’Altare dell’Abbazia di Westminster a Londra, alle miniature francesi, ai lavori di oreficeria, vetri dipinti, smalti che si stavano diffondendo in Europa e a Siena nel nuovo stile gotico).
La “Maestà” è inoltre arricchita nella sua superficie pittorica con vetri colorati, con un insieme di decorazioni e punzoni in oro zecchino impresse sull’intonaco ancora fresco di giornata. Il grande affresco in un certo senso può essere considerato una magnifica opera di oreficeria, quasi avesse lo scopo di trasmettere i celebri smalti traslucidi della contemporanea scuola senese.
Nella “Maestà” un fatto cruciale è che la linea di Simone Martini, sottile e precisa, fluisce armoniosamente da una figura all’altra, descrive incessantemente in un percorso continuo ogni forma, ogni piega e ogni dettaglio, alleggerendo e smaterializzando le forme. I colori sono delicati e astratti, fantastici, pieni di trasparenze e riflessi, contribuiscono con la linea a rendere le forme impalpabili, eteree. Simone Martini ha realizzato effetti molto particolari, è piuttosto difficile fotografare i suoi colori. La tonalità scura del blu oltremare del cielo fa aumentare i contrasti, i colori si accendono, brillano gli ori delle aureole e dei ricami.
In questo dipinto è possibile individuare un’attenzione al particolare, al dettaglio curato. È una descrizione accurata che si può rintracciare nella scena, nelle vesti, negli oggetti, nelle acconciature, e serve per creare un’ambientazione fiabesca, leggendaria. Sono rappresentate figure e ambienti tipici della società aristocratica, ricca ed elegante, che vive in una dimensione tutta poetica, staccata dalla realtà. La Madonna, seduta su un trono di forme gotiche, con la corona e vesti sontuose, appare come una regina e con regale compostezza sostiene il figlio, vestito e atteggiato come un principe. La scena si svolge in un luogo ornato e preparato come per una festa o una cerimonia importante. I personaggi hanno forme esili e slanciate, fisionomie riprese dalla realtà, ma idealizzate, sono elegantissimi, composti, hanno movenze aggraziate e rappresentano un’umanità eletta.
Nonostante l’osservazione dal vero, l’evocazione a situazioni vissute, e al folclore medievale, quello che propone qui Simone Martini è tuttavia un mondo magico, di pura immagine, al di sopra della realtà, fatto di sola apparenza visiva. Viene eliminato ogni riferimento alla materia: i valori di peso, concretezza fisica, sensazioni tattili, sembrano essere scomparsi. I personaggi sono delle apparizioni: sembrano esseri inconsistenti, spiriti fatti solo di colore e di luce. Si trovano in uno spazio indefinito e suggestivo con architetture fragili, sottili, decoratissime. Quello trasmesso dalla Maestà è un luogo per certi versi impossibile: è insieme interno (come è indicato dal pavimento in prospettiva) ed esterno (come è indicato dal cielo sullo sfondo), ed è insieme notte (blu notturno del cielo) e giorno (luce intensa su tutti i particolari). È un luogo "altro", soprannaturale e superiore dove vivono queste bellissime creature eteree.
Eppure, nonostante questo mondo artificioso, c’è un eccezionale senso di equilibrio con cui Simone Martini riesce a far apparire tutto semplice e naturale. Il pittore senese riesce a far vivere in questo spazio incredibile questi personaggi così irreali.
La “Maestà” e l’ordine implicito di Bohm
Sulla base di quanto detto, le caratteristiche dei personaggi raffigurati e del background sotteso dalla scena della “Maestà” di Simone Martini, a mio parere, ci aprono la possibilità di individuare delle significative connessioni, e di effettuare rilevanti parallelismi, con svariati temi e teorie della fisica quantistica, dall’ordine implicito di Bohm fino ad arrivare al vuoto quantistico della teoria quantistica dei campi.
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