Galileo Galilei: grande genio italiano (seconda parte)
Emanuele Cangini - 01/01/2016
Il processo per “sospizione di eresia” terminò il 22 giugno del 1633, con l’abiura di Galileo e la sua condanna al carcere formale (che venne commutata in un “confinamento” presso l’ambasciata di Trinità dei Monti), oltreché alcune “penitenze salutari”, che lo obbligavano, per la durata di tre anni, a recitare una volta a settimana le orazioni penitenziali.
Le ripercussioni umorali degli infausti eventi, unite alla prematura scomparsa della figlia Virginia, segnarono fortemente lo spirito del Galilei il quale, tuttavia, con indicibile tenacia, trovò nell’animo quegli stimoli e quell’orgoglio necessari alla continuazione della sua opera. Riprendendo gli studi giovanili sul moto, concluse la stesura dei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, attinenti alla meccanica e i movimenti locali. Correva l’anno 1638. Questa opera, che costituisce a pieno titolo il capolavoro di Galileo, è scritta in forma dialogica, alla stregua della stessa modalità adottata dai protagonisti del Dialogo sui massimi sistemi.
La salute del genio pisano andava però peggiorando: nel 1637 perse definitivamente la vista e passò da un acciacco della senilità all’altro, subendo notevoli contraccolpi sul piano psicologico. Ma Galileo, da buon toscano verace, aveva la pellaccia dura: la cagionevole condizione di salute non gli impedì di intrattenersi in fitti rapporti epistolari con numerosi scienziati italiani e stranieri, dibattendo con immutato acume in merito ai più disparati quesiti scientifici. Nel 1639 venne autorizzato ad accogliere il giovane Vincenzo Viviani, anch’egli matematico e astronomo in divenire, il quale lo assisterà con premura e affetto fino alla morte.
Da astronomo ad “astrologo”
Forse non tutti sanno che Galileo era anche astrologo. Sì, avete letto bene, astrologo. Tant’è che, alla notizia dell’apparizione della supernova (comunicatagli come già detto in esordio da Altobelli), seppe cogliere quel dilagante sconcerto popolare frutto senza dubbio di quanto apparso nei cieli: al prezzo di 60 lire venete, non dimentichiamo che al tempo era attivo presso il suo soggiorno padovano, su commissione redasse diversi temi natali tra i quali, così vuole la cronaca, ci fosse anche il proprio.
La sua fama come autore di carte oroscopiche personali fu a tal punto riconosciuta che persino eminenze prestigiose si rivolsero al suo cospetto in cambio di pagamenti sostanziosi. Principi, cardinali ed esponenti del patriziato veneto, addirittura personaggi di spicco dell’epoca quali Sagredo, Sarpi e Morosini. Scambiò inoltre lettere con l’astrologo del granduca, Raffaello Gualterotti e, secondo per ordine cronologico ma non per importanza, con tal Ottavio Brenzoni, autorevole esperto veronese in materia astrologica. Il fatto stesso che Galileo si dedicasse a questa disciplina indipendentemente dai compensi conseguiti grazie ad essa, è chiaro indice di una sua voluta e decisa attribuzione di valore a questa materia. Per di più, già nel 1604, lo scienziato pisano venne tacciato di eresia dal tribunale padovano della santa Inquisizione, per causa di una “denunzia” subita da un collaboratore, il quale lo aveva esplicitamente accusato di aver redatto oroscopi e di aver, al contempo, apertamente sostenuto quanto “gli astri determinassero le scelte umane”.
Sotto il “segno dell’Acquario”
Era nato il 5 di febbraio Galileo, sotto il segno dell’Acquario. Sono convinto, davvero convinto, che nessuno come lui sappia, a proprio modo, rappresentare il meglio delle qualità tipiche del segno, inteso in senso ideale e astratto (senza quindi riferirsi alla contestualizzazione della carta natale, con le conseguenti reciprocità derivanti dall’interazione con i vicendevoli aspetti planetari). Innovativo, lungimirante, avverso alle strutture vetuste e prestabilite, dotato di un innato senso di umanità e tolleranza. Tutto questo era Galileo: un uomo che ha saputo valicare i confini del tempo, portatore di una attualità mai tramontata.
Urano, pianeta governatore di Acquario, venne scoperto nel marzo del 1781 per merito di William Herschel: fu il primo pianeta scoperto grazie a un telescopio. Mi piacerebbe sapere se il pensiero di William, nel mentre scrutava, abbia mai indugiato sull’anno 1609… proprio l’anno in cui Galileo, l’ideatore del telescopio, decideva di volgere per la prima volta l’innovativo strumento in direzione della volta celeste.
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