Sai chi ha inventato il motore a scoppio?
Emanuele Cangini - 01/01/2016
La Toscana, regione nobile, è da sempre terra madre di menti illustri, a tal punto gravida da farne risultare futile qualsivoglia elenco dimostrativo: basti pensare a Dante, Margherita Hack, Leonardo, Michelangelo, Masaccio, Caterina da Siena, per citarne alcuni. Ebbene sì, anche Eugenio Barsanti (1821-1864) possiede natali toscani, del lucchese per la precisione: fisico e matematico, forse un pelo meno noto ai più, ma non per questo in minor misura annoverabile tra i più importanti pensatori scientifici italiani.
A buon diritto è ritenuto l’inventore del motore a scoppio: vediamo il perché. Nato a Pietrasanta, stesso comune nel quale compì i primi studi, frequentò l’istituto dei Padri Scolopi presso il quale, abbracciando quell’austero rigore tipico dell’epoca, formò la sua prima erudizione, non certo indifferente ai venti del clima religioso ai quali era esposto. Le sue spiccate qualità intellettuali emersero subito, a tal punto celeri che, non appena ventenne, venne nominato professore di filosofia, fisica e matematica, presso l’istituto Collegio San Michele di Volterra. Sull’onda logico-emotiva dell’esperienza di Volta, la cui pistola tanto sconvolse l’opinione scientifica vigente, già dal 1843 gli venne l’idea di applicare come forza motrice l’espansione del miscuglio tonante idrogeno-aria fatto esplodere a mezzo di scintilla elettrica.
Il “sacerdote-inventore”
Era chiaro nella mente di Eugenio, fin dalle prime intuizioni di carattere prettamente deduttivo, l’equivalenza tra energia termica ed energia meccanica: trasposizione in acuto del principio di Mayer (principio di conservazione dell’energia), uno dei cardini fondamentali della termodinamica. Padre Barsanti, perché l’abito talare aveva voluto indossare, aveva cercato di realizzare un apparecchio finalizzato alla regolazione della violenza esplosiva: non solo, in questo contesto, cercare di valutare quali effetti avrebbe avuto sul processo una eventuale sottrazione controllata di calore. Il problema non era solamente di carattere fisico-chimico, ma anche e soprattutto di natura meccanica, poiché riguardava il concepire un meccanismo capace di rinnovare l’introduzione e l’accensione del miscuglio tonante, oltre che di svincolare lo stantuffo nella corsa di andata in modo da lasciarlo libero di spingersi verso l’alto sotto l’effetto dell’esplosione, e di ricollegarlo cinematicamente con prontezza e stabilità all’asse motore nella corsa di ritorno.
Nasce il primo brevetto di “motore a scoppio”
Si ha notizia dalla cronaca che, nel 1856, un motore Barsanti funzionava presso le Officine della Ferrovia Maria Antonia di Firenze, efficace nell’azionare una cesoia e un trapano, esempio primo di applicazione concreta del motore a scoppio a gestione di macchine utensili. Eugenio, incoraggiato dai risultati raggiunti, e mosso da precisa volontà di perfezionamento, si associò a un esperto e capace meccanico del tempo: G.B. Babacci. Costui suggerì alcune interessanti modifiche, le quali sortirono un secondo brevetto: veniva contemplato l’utilizzo di due stantuffi contrapposti con camera di scoppio intermedia. L’idea dei due cilindri contrapposti venne poi ripresa in seconda battuta da H. Junkers, soluzione che vedrà innumerevoli applicazioni, anche odierne.
Una delle maggiori preoccupazioni di Bersanti rimaneva però quella di prevedere conseguenze di esplosioni troppo violente, timore del tutto allineato con le paure che percuotevano gli animi scientifici del dopoguerra, alle prese con i primi maldestri tentativi di sperimentazione atomica. La costruzione del nuovo brevetto venne affidata alle Officine Bauer-Elvetica di Milano, le stesse che in seguito prenderanno il nome di Officine Breda.
Sul più bello, ma proprio sul più bello, Eugenio venne informato che in Francia stava facendosi largo l’utilizzo del motore Lenoir, il cui principio di funzionamento presentava caratteristiche assai affini a quelle dei motori provati in Italia. Decise allora di far “scongelare” il memoriale depositato presso l’Accademia dei Georgofili, e farlo pubblicare (rapporto nel quale si suggellavano le 4 metodologie di trasformazione del moto istantaneo detonante, in moto controllato uniforme). Effettuò inoltre una relazione di collaudo sopra un esemplare di motore erogante una potenza di 4 CV, visionata e convalidata da una commissione di tecnici dell’Istituto lombardo. Vennero perciò resi noti i primi dati empirici riferiti a consumo e rendimento. La stessa commissione di valutazione si occupò di un confronto diretto con il motore Lenoir, tramite raffronto a banco, pronunciandosi a totale favore del brevetto di padre Barsanti, sottoscrivendone a tal conferma i considerevolmente ridotti consumi di gas rispetto al modello d’oltralpe.
Il successo stava davvero per arridere quando, la notte tra il 18 e il 19 aprile 1864, Eugenio colto da febbre improvvisa e virulenta disse addio alla vita terrena, assistito dal fratello. Nel 1867 al salone dell’esposizione di Parigi, N. Otto ed E. Langen otterranno il primo premio per un motore che interpretava fedelmente i princìpi di funzionamento e riproduceva molti degli accorgimenti tecnici già avvalorati da padre Eugenio. Nel 1882 Otto veniva insignito della laurea ad honorem per “aver inventato un motore che porta il suo nome”. Eugenio, seppur spirato a miglior vita, avrà certamente reclamato il proprio giusto tributo, dall’alto di quella meritocrazia bersagliera che da sempre lo aveva visto in prima linea.
Sotto il “segno della Bilancia”
Era nato il 12 di ottobre Barsanti, a Pietrasanta di Lucca, come già visto: sotto il segno della Bilancia, secondo decano, nel cuore del mese ottobrino di poco distante da quel 19 aprile che lo vide spirare. L’astrologia ci dice che il segno della Bilancia è segno di aria governato dal pianeta Venere, unito e “accomunato” nei propri “destini” astrologici dai compagni d’elemento, Gemelli e Acquario, e di governatore, Toro. Non nego quanto m’abbia strappato un sorriso il notare come, ironico intreccio di destini, sia facile collegare l’elemento di appartenenza del segno, a uno dei componenti del miscuglio detonante: idrogeno e aria, appunto.
Sì, l’aria, nella sua inafferrabile impalpabilità, così concretamente collante nella vita di un uomo geniale nato in Toscana. Chissà cosa avrà pensato quando, preda di uno dei tanti insuccessi di laboratorio, avrà desiderato di mandare tutto… all’aria.