La fisica che rende bella la vita: intervista a Ignazio Licata
Scienza e Fisica Quantistica
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La lettura dell’ultimo libro di Licata, Piccole Variazioni sulla Scienza, è uno stimolo alla riflessione su tanti aspetti della scienza, dall’epistemologia alla teoria della complessità, passando per l’intelligenza artificiale e la materia oscura
Marianna Gualazzi - 20/06/2018
È stato un piacere imbattersi nuovamente nel cammino di Ignazio Licata – fisico teorico, brillante e dinamico ricercatore, nonché appassionato divulgatore – che è stato uno tra i primi “amici” di Scienza e Conoscenza, oltre dieci anni fa, quando la rivista era ancora agli inizi e in pochi la conoscevano. La lettura dell’ultimo libro di Licata, Piccole Variazioni sulla Scienza, è uno stimolo alla riflessione su tanti aspetti della scienza, dall’epistemologia alla teoria della complessità, passando per l’intelligenza artificiale e la materia oscura. Ignazio ha mirabilmente condensato tutto in quest’intervista, dopo la lettura della quale avrete senza dubbio il desiderio di procurarvi il libro: da leggere poco alla volta, capitolo dopo capitolo, come si degusta, con piacere e lentezza, un buon bicchiere di brandy a fine pasto.
Le tue ricerche vanno dalle teorie quantistiche, alla teoria della complessità, alla cosmologia, ultimamente big data. Recentissimamente è uscito un tuo articolo sulla materia oscura che ha suscitato molto interesse. A tutto ciò si aggiunge la continua riflessione sulla scienza e sui suoi paradigmi. Questo solo per citare alcuni dei tuoi campi d’azione. Nel panorama di una ricerca scientifica sempre più settorializzata e specifica oggi può sorprendere questa varietà di interessi: ti senti un po’ un ricercatore d’altri tempi?
Il problema vero è che gli “altri tempi” di cui parliamo era soltanto pochi anni fa! Per un fisico teorico dovrebbe essere abbastanza naturale praticare una certa versatilità, aiutato dall’unità profonda della fisica e dalla potente “trasportabilità” dei suoi modelli. Ad esempio, io mi sono sempre interessato di fondamenti di teorie quantistiche, che in genere è un lavoro di “sottoscala”, rischi di passare molto tempo su questioni pseudofilosofiche o matematiche di impatto relativo. Però se lo fai sul serio, e non come “vezzo filosofico”, non puoi fare a meno di incrociare prima o poi temi di frontiera come le questioni cosmologiche (Ll’universo è un oggetto quantistico?), la gravità quantistica (la non-località è davvero l’ultima parola? Qual è il significato della scala di Planck?), e la Fisica delle particelle. Gerard ‘t Hooft da Nobel è diventato un outsider semplicemente perché ha suggerito che le tre domande sopra non sono una mera questione interpretativa, e soprattutto non riguardano una disciplina ferma al 1927, ma il futuro della fisica. Stessa cosa per i temi della complessità. Il tema dell’emergenza nasce all’interno della materia condensata e dei sistemi collettivi, del “more is different” di un altro grande Nobel, Philip Anderson. Infine – e questo sì, è un tratto generazionale – mentre gli studenti dei corsi avanzati provavano a spiegarci la teoria elettrodebole, esplodevano nuove generazioni di calcolatrici (ricordo la mia Texas 58!) e il personal computer. Sono dunque cresciuto con un’attenzione particolare all’elaborazione dell’informazione e alle simulazioni. La sfida dei big data è affascinante, perché in nessuna epoca precedente è stata disponibile una tale messe di dati su tutto e la possibilità di processarli praticamente in tempo reale. L’importante è non dimenticare che i dati non parlano da soli ma vanno interrogati, lezione familiare al fisico.
E poi?
Poi si è fatta sempre più forte la spinta generalizzata verso la produttività iperspecializzata accompagnata dalla pressione mediatica, e complice anche l’esito di alcune dubbie “riforme” universitarie anche tra le nuove generazioni di fisici si è insinuato il veleno di una competitività a corto raggio. Seguire la moda più recente e l’ultimo tag, il resto non conta. Molti giovani purtroppo hanno oggi una visione della fisica che non va oltre la loro tesi. E un clima di scientismo autoritario non aiuta certo l’atteggiamento giusto che dovrebbe essere “We are scientists. We don’t blog. We don’t twitter. We take our time” (dal blog slow-science.org)
Com’è nato il tuo interesse per la scienza e per la Fisica?
Semplificando all’estremo dalla filosofia. Mi rendevo conto che – a parte i pensatori che animavano le passioni politiche – i filosofi che mi interessavano di più erano quelli che avevano a che fare con la scienza. Credo di aver letto tutto di Russell. Temevo però la matematica, avendo una formazione classica. Cosa che poi si rivelò invece un vantaggio non indifferente. Avendo poca tecnica, affrontai infatti i corsi di matematica con la giusta attenzione ed umiltà. Devo però dire che oggi non ho simpatia per quei fisici che si ritengono gli eredi naturali dei filosofi. Sono due sfere del sapere che dialogano certo, ma le facili equiparazioni tendono a mettere tra parentesi la cosa più importante: la specificità dei linguaggi e delle storie. Senza questo tutto è uguale a tutto, ed è tutto inutile.