La teoria di Lorentz
Scienza e Fisica Quantistica
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Quest’articolo ci avvicina, di nuovo, ad una versione alternativa di guardare a ciò che ci circonda. Qui si cerca di mostrare che la teoria di Lorentz, sotto certi aspetti, può essere considerata più soddisfacente rispetto alla relatività speciale di Einstein.
Davide Fiscaletti - 02/08/2022
Premessa
Storicamente, nello studio dei fenomeni fisici che avvengono alle elevatissime velocità, la relatività speciale di Einstein è risultata vincente. Esiste tuttavia un’interpretazione alternativa, la teoria di Lorentz, la quale è in grado di riprodurre ugualmente i risultati sperimentali. Qui si cerca di mostrare che la teoria di Lorentz, sotto certi aspetti, può essere considerata più soddisfacente rispetto alla relatività speciale di Einstein.
La fisica relativistica (o fisica delle alte velocità) ha come oggetto lo studio dei fenomeni che avvengono alle elevatissime velocità, cioè velocità prossime alla velocità c (300000 Km/sec) di propagazione della luce nel vuoto. L’interpretazione standard della fisica relativistica, che ha avuto maggior successo sul piano storico, è la relatività speciale, sviluppata da Einstein nel 1905. Questa teoria, che ha rivoluzionato le nostre nozioni basilari dello spazio e del tempo, si basa su due ipotesi elevate al rango di postulati, di verità fondamentali della natura: il principio di relatività (secondo cui tutte le leggi della fisica assumono la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziali) e il postulato sulla costanza della velocità della luce nel vuoto (secondo cui la velocità della luce nel vuoto ha lo stesso valore c rispetto a tutti i sistemi di riferimento inerziali).
Tuttavia, la relatività speciale di Einstein non è l’unica interpretazione possibile del formalismo usato nella fisica delle alte velocità; esiste anche un’interpretazione alternativa, dovuta al fisico olandese Hendrik Antoon Lorentz, la quale è in grado di riprodurre ugualmente i risultati sperimentali. Anzi, se si vuole essere precisi, bisogna dire che la struttura matematica della teoria einsteniana della relatività speciale fu prima ricavata da Lorentz; quello che fece Einstein fu, in un secondo momento, di riottenerla in un’altra maniera, sulla base dei due principi di carattere fondamentale citati sopra, vale a dire il principio di relatività e il postulato della costanza della velocità della luce nel vuoto.
La teoria di Lorentz
Il punto di partenza della fisica relativistica è rappresentato dall’esito negativo del famoso esperimento di Michelson e Morley (cioè il fatto che la velocità della luce non subisce alcuna influenza da parte del moto terrestre, in altre parole che la terra appare immobile rispetto a un mezzo etereo esterno, permeante lo spazio e che dovrebbe spiegare la propagazione delle onde elettromagnetiche, delle interazioni gravitazionali, ecc…).
Ebbene, questo risultato sperimentale, prima che da Einstein, fu messo in termini matematici negli ultimi anni dell’ '800 da Lorentz, che venne allora a proporre quella che è tuttora detta contrazione di Lorentz: la quale è una forma matematica di ciò che deve essere visto come un puro fatto empirico. Secondo questa formulazione matematica, quando un oggetto si muove rispetto a un osservatore, questi percepisce l’oggetto stesso accorciato rispetto a quella che sarebbe la sua lunghezza a riposo (con riferimento all’osservatore), secondo il fattore che è quindi tanto più importante quanto più alta è la velocità v dell’oggetto. In altre parole, ogni corpo in moto rispetto a un etere esterno (pensato sempre a riposo) subisce una contrazione lungo la direzione del moto secondo quel fattore della radice quadrata. Questo effetto, o le sue conseguenze, non diventano osservabili se non a velocità altissime.
Lorentz era dell’idea che, almeno in prima approssimazione, si doveva avere una sostanziale invarianza dei fenomeni elettromagnetici, e quindi delle equazioni di Maxwell che descrivono tali fenomeni, nel passaggio dal riferimento assoluto dell’etere al sistema terrestre (supposto inerziale in via approssimativa), per lo meno nei limiti in cui non si erano mostrate differenze o effetti per il moto della Terra rispetto all’etere. Per avere una completa equivalenza tra il sistema in movimento e l’etere a riposo riguardo ai fenomeni elettromagnetici e quindi garantire l’invarianza delle equazioni di Maxwell per cambiamento di sistema di riferimento, Lorentz mostrò che non solo la coordinata spaziale nella direzione del moto subisce una variazione (in virtù della contrazione delle lunghezze) ma anche il tempo deve essere misurato in modo diverso a seconda che il sistema sia in moto o a riposo: il tempo misurato in un sistema inerziale in moto rispetto all’etere – definito "tempo locale" - è legato al tempo misurato nel sistema dell’etere per mezzo di una particolare formula. In questo modo, Lorentz ricavò quelle leggi di trasformazione delle coordinate dello spazio e del tempo tra l’etere a riposo e il sistema in moto, che sono tuttora note come trasformazioni di Lorentz (Einstein avrebbe poi derivato queste stesse trasformazioni nel contesto della sua teoria della relatività speciale).
Lorentz vide in queste trasformazioni la chiave per comprendere l’invarianza dell’elettromagnetismo, nelle sue leggi e nei suoi fenomeni, nel passaggio dal sistema dell’etere in quiete assoluta a sistemi in moto rispetto ad esso. In sostanza, la visione di Lorentz è legata ad un etere esterno sempre pensato in quiete assoluta e di conseguenza privilegia un sistema di riferimento, quello in cui vengono formulate le leggi dell’elettromagnetismo. Nella teoria di Lorentz lo spazio in cui ha luogo il movimento è fisicamente attivo: è un movimento assoluto rispetto all’etere che produce una contrazione, assoluta, delle lunghezze.
Nell’ambito di questa teoria, la velocità della luce ha lo stesso valore c in tutte le direzioni solo nel sistema dell’etere a riposo; nei sistemi in moto essa si somma alla velocità del sistema di riferimento e c’è di fatto una compensazione tra i due effetti (vale a dire la contrazione e l’effettiva variabilità di c) in modo da garantire che tali sistemi in moto siano equivalenti al sistema dell’etere riguardo ai fenomeni elettromagnetici.
Va segnalato infine che, nell’ambito delle sue ricerche teoriche, Lorentz dedusse in pratica tutto il formalismo matematico delle fisica relativistica; per esempio, dai suoi studi emergeva già chiaramente che la massa di un elettrone doveva crescere all’aumentare della velocità v della particella, e che sarebbe diventata infinita qualora v avesse uguagliato la velocità della luce (coerentemente con quanto avrebbe poi riottenuto Einstein nel contesto della relatività speciale). Ci proponiamo adesso di mostrare che, sotto diversi importanti aspetti, la versione di Lorentz della fisica delle alte velocità può essere considerata più soddisfacente rispetto alla relatività speciale einsteniana.
La questione dell’etere
Un primo punto importante su cui la teoria di Lorentz può essere considerata più soddisfacente rispetto alla relatività speciale di Einstein riguarda la questione dell’etere in connessione con la meccanica quantistica. Nell’ambito della teoria di Lorentz, tutte le parti dell’etere dovevano pensarsi immobili, l’una rispetto all’altra, e l’etere a riposo costituiva un sistema di riferimento distinguibile dagli altri.
L’etere di Lorentz restava sempre in quiete assoluta e quindi privilegiava nettamente un sistema di riferimento, quello specificato dalla teoria di Lorentz dell’elettromagnetismo. Con la pubblicazione della sua teoria della relatività speciale, Einstein mostrò di non essere d’accordo con la concezione di Lorentz dell’elettromagnetismo. La visione di Lorentz in cui da un lato tutti i sistemi inerziali erano perfettamente equivalenti per formulare le leggi della meccanica newtoniana e, dall’altro lato, uno di questi sistemi, quello in cui l’etere era a riposo, risultava privilegiato nella formulazione delle leggi dell’elettromagnetismo, era incompatibile con la relatività speciale.
Nella relatività speciale di Einstein non ha senso considerare l’etere in quiete assoluta in quanto questo tipo di etere, privilegiando nettamente un sistema di riferimento, è incompatibile con il principio di relatività. Einstein introdusse così un nuovo tipo di etere, che può essere definito "etere relativistico" o "etere inerziale". Nell’ambito della sua teoria, la nozione di movimento, ivi incluso il caso particolare dello stato di quiete, poteva essere applicata solo ai sistemi di riferimento inerziali, perché questi erano i soli ad essere in grado di muoversi uno rispetto agli altri, cambiando la loro posizione relativa; invece, per Einstein, nessun stato di movimento e, in particolare, nessun stato di quiete, poteva essere attribuito all’etere, i concetti di moto e di quiete in questo caso erano totalmente inapplicabili.
Pertanto, l’etere di Einstein era privo di qualsiasi tipo di movimento, quindi anche della possibilità di essere immobile. Aveva, insomma, proprietà mai viste, che impedivano anche di immaginarlo composto di corpuscoli o di parti, perché queste si sarebbero inevitabilmente trovate in un qualche stato di movimento. Questa nuova (strana) descrizione era inevitabile se l’etere doveva apparire esattamente lo stesso in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Occorre tuttavia sottolineare che la concezione einsteiniana di etere non è in grado di risolvere un importante problema della microfisica, vale a dire la propagazione delle onde quantistiche. Nella formulazione di Einstein e del fisico francese de Broglie, ciascun oggetto materiale, nell’ambito della fisica microscopica, deve essere pensato come costituito da un’onda e da un corpuscolo contemporaneamente, con l’onda che ha il ruolo di guidare il corpuscolo durante il suo movimento (questa idea, nota come dualismo oggettivo onda-corpuscolo, costituisce il punto di partenza verso il recupero di una descrizione causale dei fenomeni quantistici).
Nella visione di Einstein, queste onde quantistiche dovevano essere prive di energia e, purtuttavia, oggettivamente reali. Le onde degli oggetti microscopici avrebbero allora dovuto essere delle oscillazioni dello spazio fisico (etere), ma la teoria della relatività speciale dichiarava completamente equivalenti tutti i sistemi di riferimento inerziali ed escludeva l’esistenza di un sistema di riferimento privilegiato nel quale un mezzo etereo potesse essere mediamente immobile. L’etere relativistico introdotto da Einstein, essendo privo di ogni tipo di movimento, non può pertanto permettere di spiegare la propagazione delle onde quantistiche: un mezzo per il quale non si possa nemmeno concepire uno stato di movimento non può certo fare da supporto alla propagazione di onde!
L’etere di Lorentz, invece, essendo in quiete assoluta, può fungere da mezzo per la propagazione di onde e, quindi, per quanto riguarda il problema del dualismo oggettivo onda-corpuscolo, presenta notevoli vantaggi sulla relatività speciale. Se si tiene conto che il dualismo oggettivo onda-corpuscolo consente di spiegare in modo consistente tutti i risultati sperimentali riguardanti il mondo microscopico, ne deriva allora che, per quanto concerne il problema dell’etere in connessione con la meccanica quantistica, la teoria di Lorentz è in grado di dipingere un’immagine più soddisfacente dell’universo rispetto alla relatività speciale di Einstein.
Sviluppi recenti
Alcuni significativi sviluppi recenti forniscono altri importanti elementi per cui la teoria di Lorentz può essere considerata più convincente della relatività speciale einsteniana. Innanzi tutto, Selleri ha messo in rilievo che l’esistenza della radiazione cosmica di fondo (o, in altri suoi articoli, l’esistenza della luce che ci giunge da tutte le direzioni dalle diverse stelle) può definire un sistema di riferimento che nessuno può ignorare.
Secondo Selleri, nel mondo reale il sistema di riferimento in cui la radiazione considerata è isotropa è il più fondamentale e quindi deve essere privilegiato rispetto agli altri. Inoltre, Selleri ha mostrato che le trasformazioni di Lorentz usate da Einstein e Lorentz sono solo un caso particolare di un insieme di trasformazioni più generali che richiedono l’esistenza di un sistema di riferimento privilegiato in situazione stazionaria.
Considerando due sistemi di riferimento inerziali e S che soddisfano i seguenti requisiti
i) hanno le origini sovrapposte all’istante iniziale e gli assi paralleli ed equiversi ad ogni istante;
ii) il sistema S si muove rispetto al sistema con velocità costante v diretta come la prima coordinata spaziale;
iii) lo spazio è omogeneo e isotropo, e il tempo è omogeneo, almeno se giudicato da osservatori a riposo in ;
iv) in la velocità della luce di sola andata ha lo stesso valore c in tutte le direzioni;
v) la velocità della luce di andata e ritorno è la stessa in tutte le direzioni e in tutti i sistemi di riferimento inerziali; vi) gli orologi a riposo in S vanno più lentamente, rispetto a quelli che sono a riposo in, secondo il solito fattore relativistico dipendente dalla velocità (cioè 1/ )
Selleri ha mostrato che le trasformazioni generali delle coordinate spazio-temporali da a S contengono un parametro libero (il coefficiente della prima coordinata spaziale nella trasformazione del tempo), termine convenzionale detto anche 'fattore di sincronizzazione', e che la teoria della relatività speciale viene ottenuta per un particolare valore di . Diversi valori di corrispondono a diverse teorie dello spazio e del tempo che sono in larga misura equivalenti, nel senso che numerosi esperimenti sono spiegati ugualmente bene da tutte le teorie del set. In tutti i casi, tranne che nella relatività speciale, tali valori implicano l’esistenza di un sistema di riferimento privilegiato.
L’equivalenza di queste teorie non è tuttavia completa: se si richiede che ci sia una continuità fisica tra sistemi di riferimento inerziali e sistemi di riferimento dotati di una piccola accelerazione (e questa, come sottolinea giustamente Selleri, è una richiesta del tutto legittima e naturale, in quanto la nostra conoscenza empirica di sistemi di riferimento inerziali è ottenuta in laboratori che hanno di fatto una piccola, ma non nulla, accelerazione, a causa per esempio della rotazione della Terra), si rompe l’equivalenza tra le teorie dell’insieme e si dimostra che quella più semplice, basata su =0, spiega le osservazioni meglio della relatività speciale. Solo la teoria dello spazio e del tempo che corrisponde a =0 è insomma in grado di evitare la discontinuità relativistica tra sistemi inerziali e sistemi accelerati.
La condizione =0 corrisponde alla simultaneità assoluta: due eventi che hanno luogo in diversi punti e allo stesso istante per osservatori che si trovano a riposo in un sistema inerziale devono essere giudicati simultanei anche da osservatori a riposo in un altro sistema inerziale S.
La teoria dello spazio e del tempo basata su =0 si presenta meglio della teoria della relatività speciale anche su un’altra questione significativa: la possibilità che esistano segnali superluminali. Ci sono diverse evidenze sperimentali che qualche volta la radiazione elettromagnetica possa propagarsi con una velocità di gruppo maggiore del normale valore c: questi segnali vengono di solito chiamati "segnali superluminali" o "tachioni". Ebbene, in tutte le teorie corrispondenti a (e, in particolare, la relatività speciale) l’esistenza di segnali superluminali genera dei paradossi causali, situazioni assurde nel senso che, almeno in linea di principio, sarebbe possibile modificare attivamente il passato, anche in modo da negare la realtà del presente.
Invece, la teoria basata su =0 è in grado di superare questi paradossi causali e fornisce un quadro soddisfacente per l’esistenza di segnali superluminali. Nella teoria dello spazio e del tempo basata sulla sincronizzazione assoluta, come mostrato da Selleri, nessuno scambio di segnali superluminali può portare a un paradosso causale. La spiegazione dei fenomeni relativistici da parte della teoria corrispondente a =0 riesce clamorosamente bene. Se si ammette che lo spazio in cui il movimento ha luogo sia fisicamente attivo, rappresenti un sistema privilegiato distinguibile dagli altri e quindi che il movimento assoluto generi effetti fisici sui corpi in moto, tutti i paradossi possono essere eliminati (per esempio, esemplare è la soluzione del paradosso dei gemelli: il gemello che è partito con l’astronave invecchia più lentamente di quello che è rimasto sulla terra, perché la sua velocità assoluta è maggiore). Siccome la teoria dello spazio e del tempo che corrisponde a =0 implica l’esistenza di un sistema di riferimento privilegiato, questi risultati recenti di Selleri ci permettono in qualche modo di recuperare l’etere di Lorentz. I risultati ottenuti da Selleri ci forniscono quindi altri importanti elementi per cui l’interpretazione di Lorentz della fisica relativistica può essere considerata più soddisfacente rispetto alla relatività speciale di Einstein.
Altre considerazioni
In questo articolo, abbiamo mostrato che la teoria di Lorentz si presenta meglio della relatività speciale di Einstein sotto diversi importanti aspetti (l’etere in connessione con il dualismo oggettivo onda-corpuscolo, la continuità fisica tra sistemi inerziali e sistemi aventi una debole accelerazione e i segnali superluminali). Sulla base delle considerazioni che sono state fatte, si può anche arrivare all’idea che la relatività speciale einsteniana sia una teoria inutile (o, almeno, meno adeguata, rispetto alla teoria di Lorentz, a descrivere la fisica delle alte velocità).
Può allora sorgere, in modo del tutto naturale, la domanda se questa teoria proposta da Einstein non possa essere dimostrata falsa e quindi venire “archiviata”.
La risposta è negativa se la dimostrazione si volesse fare in modo diretto, per la semplice ragione che i due postulati di tale teoria (in particolare, il primo) sono talmente eterei ed inafferrabili da rendere praticamente impossibile qualsiasi affermazione sul loro conto. In compenso, però - come viene sottolineato chiaramente nell’introduzione del libro Einstein e il Talmud di Bruno Thüring - una dimostrazione può forse essere raggiunta per reductio ad absurdum, ragionando nei termini seguenti. La contrazione di Lorentz, vista come puro fatto empirico, ha un campo di applicabilità molto specifico e perfettamente delimitato, fuori del quale non è più valida; questo campo è la misurazione, per mezzo di segnali elettromagnetici, di parametri geometrici e cinematici di corpi materiali in movimento relativo.
La relatività speciale di Einstein invece ha pretese universalistiche, per cui la stessa contrazione di Lorentz, vista adesso non come puro fatto empirico ma come conseguenza dei due postulati su cui essa si basa, dovrebbe acquistare applicabilità anche in campi al di fuori di quello specifico in cui essa fu scoperta. Ora è un fatto che, quando si operi il tentativo di applicare la contrazione di Lorentz a quei campi che empiricamente non le competono (in modo particolare la statica, ma pure la termodinamica), ne dovrebbero risultare improbabili e fantasmatici effetti che, neanche a dirlo, non sono mai stati osservati .
Tanto per fare un esempio: si consideri una bilancia in equilibrio rispetto ad un osservatore a riposo. Quando l’osservatore dovesse incominciare a muoversi rispetto alla bilancia, egli dovrebbe osservare che i suoi bracci incominciano a ruotare attorno al fulcro. Ne segue che la relatività speciale di Einstein (non la contrazione di Lorentz), sia pure per reductio ad absurdum, può essere anche "sperimentalmente" dimostrata falsa.
Nonostante le diverse importanti questioni su cui la teoria di Lorentz sembra preferibile alla relatività speciale di Einstein, va tuttavia ribadito che la relatività speciale continua a essere lo schema teorico di base della fisica delle alte velocità. Invece, l’interpretazione di Lorentz viene spesso emarginata e messa da parte per "ragioni" che sono difficili da comprendere.
SpaceLife Institute - Davide Fiscaletti ©
Bibliografia:
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