Neutrino: la particella fantasma
Scienza e Fisica Quantistica
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Perché possiamo definire il neutrino la vera "particella di Dio"? Quali questioni fondamentali di fisica potrebbero essere risolte con lo studio delle caratteristiche non ancora note di questa particella?
Luigi Maxmilian Caligiuri - 14/08/2019
Mentre scrivo quest’articolo, qualche trilione di neutrini, prodotti dal Sole, generati dalla radioattività terrestre, dai reattori nucleari e dagli elementi radioattivi presenti nel corpo umano, mi attraversa ogni secondo senza che io praticamente me ne accorga. Il neutrino è, infatti, la sola particella elementare, sinora conosciuta, in grado di attraversare la materia senza praticamente “disturbarla”. A puro titolo di esempio basti pensare che un neutrino sarebbe in grado di attraversare molti miliardi di volte una vasca riempita d’acqua lunga quanto la distanza che separa la Terra dalla Luna prima di interagire con una singola molecola d’acqua e che ogni centimetro quadrato della nostra pelle è colpito ogni secondo da circa 65 miliardi di neutrini senza alcuna conseguenza.
Il neutrino è la “vera” particella di Dio
La ragione di siffatto straordinario comportamento è legata alle peculiari caratteristiche di questa enigmatica particella che, oseremo dire, potrebbe essa sì, a ben ragione, essere soprannominata la “particella di Dio”, data anche l’importanza che essa riveste in numerosi processi fisici fondamentali.
Il grande filosofo greco Eraclito era solito affermare che “la natura delle cose ama nascondersi” e il compito e la missione della scienza, e della fisica in particolare, è di scoprire tale natura. Nel caso del neutrino, allora, la strada giusta per conquistarne i segreti passa attraverso l’elaborazione di un modello teorico coerente e non contraddittorio in grado di spiegarne le caratteristiche note e prevederne quelle ancora ignote da un lato e di progettare e realizzare esperimenti in grado di rilevare tali caratteristiche dall’altro.
Sappiamo che i neutrini intervengono in numerosi fenomeni fisici fondamentali, dal funzionamento delle stelle alle reazioni nucleari, e probabilmente in molti altri non ancora ben compresi. Fin dalla sua scoperta fu subito chiaro che lo studio delle sue proprietà si sarebbe rivelato particolarmente ostico anche perché, a causa delle sue caratteristiche, la rilevazione delle sue eventuali interazioni avrebbe in generale richiesto la messa a punto di apparati sperimentali complessi e costosi, oltre che di difficile ubicazione (è necessario, infatti, che i rivelatori usati in tali esperimenti non siano influenzati dal “rumore” dovuto alla presenza di altre particelle in grado di determinare dei falsi positivi), essendo la massa dei neutrini particolarmente esigua (e non risentendo, pertanto, dell’attrazione gravitazionale) ed essendo essi privi di interazioni di tipo elettrico (avendo carica elettrica nulla) e magnetico.
Intorno al 1940 cominciò a farsi strada l’idea, avanzata dal fisico Hans Bethe, che una delle sorgenti più intense dei neutrini, rispetto alla Terra, sarebbe stata da ricercare nelle reazioni nucleari che avvengono all’interno del nostro Sole e qualche anno dopo, un gruppo di ricercatori giapponesi guidati da Shoichi Sakata, dimostrò che ciò che veniva chiamato neutrino, in realtà, dal punto di vista sperimentale, poteva consistere in un insieme di componenti.
Negli anni successivi, una serie di lavori di carattere sia teorico che sperimentale, indicanti chiaramente la natura “nucleare” dei neutrini, modificarono sostanzialmente il quadro allora noto della fisica delle particelle elementari. Circa nello stesso periodo Bruno Pontecorvo ipotizzò che i neutrini emessi dal Sole potessero “oscillare”, durante il loro cammino verso la Terra, trasformandosi e modificando le proprie caratteristiche, possibilità che, come vedremo, si rivelò fondamentale in relazione a un’altra caratteristica peculiare di tale misteriosa particella e per spiegare le anomalie riscontrate nella produzione dei neutrini solari la cui analisi, sin dal 1968, aveva evidenziato un comportamento apparentemente inspiegabile. I calcoli avevano infatti evidenziato che il numero di neutrini rilevati risultata significativamente inferiore rispetto a quelli previsti in base ai modelli teorici disponibili.
A partire dal 1962, lo studio delle caratteristiche di alcune particolari interazioni tra particelle richiese l’introduzione di due ulteriori tipi di neutrini, oltre a quello relativo alle particelle beta (ovvero il neutrino elettronico), rispettivamente associato ad altre due particelle elementari, il tauone e il muone.
Questa necessità evidenzia un’altra caratteristica unica del neutrino, ovvero la sua possibilità di manifestarsi in tre forme (denominate “sapori”) differenti, ognuna accompagnata dalla rispettiva antiparticella (antineutrino).
Neutrini: aveva ragione Dirac o Majorana?
Ancora più interessante, come vedremo meglio nel seguito anche in relazione a ciò che riguarda il mistero dell’asimmetria tra materia e antimateria, risulta la questione riguardo la vera natura dei neutrini, vale a dire se essi rispecchino la descrizione formulata da Paul Dirac o quella, alternativa ed estremamente più affascinante, proposta dal grande Ettore Majorana. Anche i tentativi di inquadrare i neutrini nell’ambito della descrizione più completa delle particelle elementari oggi comunemente accettata, vale a dire il cosiddetto modello standard, conducono a insuperabili contraddizioni poiché questo prevede, per i neutrini, una massa a riposo nulla e dunque una velocità pari a quella della luce nel vuoto.
Tuttavia, già verso la fine del secolo scorso, i dati provenienti dagli apparati atti a misurare le interazioni dei neutrini solari e di quelli generati dalla radiazione cosmica sull’atmosfera terrestre, risultavano incompatibili con le previsioni del modello standard, suggerendo un valore diverso da zero per la loro massa, laddove invece, paradossalmente, le misurazioni eseguite considerando i neutrini prodotti artificialmente sulla Terra e misurati nelle vicinanze delle loro sorgenti, sembravano rispettare tali previsioni (fornendo quindi un valore pari a zero per la loro massa a riposo).
Come discuteremo nel seguito, la risoluzione, almeno parziale, di questo “puzzle” non è stata per nulla semplice da trovare e, possiamo anche dire, non sembra ancora neanche del tutto definitiva.