Ohsawa, Kushi e la fusione fredda
Luca Chiesi - 01/01/2016
Già dagli anni ’60 si hanno notizie di reazioni nucleari a debole energia ottenute tramite processi chimici o fisici indotti da un operatore esterno, in particolare riguardanti gli esperimenti dello scienziato e filosofo giapponese George Ohsawa (Nyoiti Yukikazu Sakurazawa), conosciuto in tutto il mondo per aver diffuso numerose arti orientali tradizionali ed in particolare teoria e pratica della Macrobiotica. In collaborazione con il suo allievo Michio Kushi e altri, negli anni 1963-1964 George Ohsawa è riuscito a sintetizzare consistenti quantità di Ferro con particolari caratteristiche fisico-chimiche: questi isomeri, ottenuti in diversi modi (per esempio tramite circuiti elettrici fatti con materiali di facile reperibilità e a basso costo) a partire da Carbonio e Ossigeno, mostravano interessanti proprietà. Nel corso dei medesimi esperimenti, attraverso uno spettroscopio erano state osservate altre reazioni di questo tipo, che avevano portato alla sintesi di decine e decine di elementi più pesanti di quelli di partenza.
Più recentemente, sulla scia di questo genere di esperimenti, sono stati riscontrati anche più di trenta nuovi elementi in una singola reazione; il Palladio, e non solo da questo punto di vista, si è dimostrato essere uno dei materiali più usati e che ha dato agli scienziati maggiori soddisfazioni. A questo proposito viene naturale pensare alla cosiddetta “fusione fredda”: dopo il primo annuncio ufficiale da parte di Fleischmann e Pons del 1989 (rivelatosi non riproducibile e riveduto l’anno successivo dagli stessi autori), essa ha fatto molti passi in avanti sia dal punto di vista della comprensione teorica del fenomeno sia da quello del rendimento; in reticolati metallici di Palladio e Idrogeno, per esempio, è stato possibile fare avvenire, più volte e per tempi sempre più lunghi, una consistente produzione netta di energia. L’attività in questo campo degli scienziati italiani è fin dagli inizi di primo
piano anche a livello internazionale, come si può costatare leggendo su Internet i numerosi forum di discussione sull’argomento, ricchissimi di dati ed esperimenti.
Proprio in Italia, presso il laboratorio ENEA di Saluggia, è stato riscontrato come per via elettrochimica sia possibile ottenere persino la variazione del periodo di semivita delle sostanze radioattive: numerosi esperimenti hanno dimostrato come Uranio e Torio, che dovrebbero dimezzarsi in tempi dell’ordine dei miliardi di anni, siano diminuiti in certi casi anche del 70% nel giro di pochi giorni, se sottoposti ad ignizione con particolari misture di elementi. Questi stessi risultati sono stati ottenuti e verificati anche da altri laboratori indipendenti, mostrando una probabile “falla” alla precisione delle datazioni ottenute tramite l’analisi dei nuclidi radioattivi; prima di avere queste conferme, infatti, si riteneva impossibile influenzare significativamente il decadimento di tali sostanze.
Lo scopritore di un metodo per smaltire le scorie radioattive (il fisico bolognese Roberto A. Monti) si è reso protagonista anche nella sintesi di metalli preziosi: a partire da un particolare isomero del Mercurio ha ottenuto dell’Oro di eccellente qualità e persino una ridotta percentuale di Platino; la sintesi di questi ed altri elementi, anche in pubblicazioni scientifiche successive, si è dimostrata una costante. Pur non essendo un processo economicamente favorevole (troppo costose le materie prime), la portata di questo fatto è ovviamente enorme.