Rita Levi Montalcini: quando la ricerca diventa poesia
Emanuele Cangini - 01/01/2016
Vi racconto una storia. La storia di una bambina di origini ebree nata a Torino nel 1909, figlia di un ingegnere elettrotecnico e di una pittrice, cresciuta in un clima familiare di impeccabile serenità, alla stregua di quei valori da lei stessa definiti “vittoriani”. Una giovinezza piena di peripezie la sua, caratterizzata da numerosi spostamenti e fughe improvvise: nel 1938 causa leggi razziali si trasferì in Belgio, per poi rientrare a Torino nel 1940. Dopo un breve periodo di esilio forzato nelle campagne dell’astigiano, si stabilì a Firenze presso la famiglia Mori, la cui figlia, abile pittrice, aveva legami di sincera amicizia con la sorella gemella della protagonista.
Ebbene sì, sto parlando di Rita Levi Montalcini (1909-2012) la grandissima neurologa e senatrice della Repubblica, premio Nobel per la medicina nel 1986. Donna di assoluta devozione ai propri princìpi etici e di totale rigore verso le proprie vedute, ha dedicato interamente la vita alla ricerca e votato le proprie energie totalmente a favore del progresso dell’arte medica, consacrandosi, senza ombra di dubbio, tra le più grandi scienziate della storia. Socia onoraria dell’Accademia dei Lincei (l’Accademia scientifica più antica del mondo) è stata, inoltre, socia e fondatrice della Fondazione Idis-Città della Scienza.
Da allieva di Giuseppe Levi alla scoperta dell’NGF (fattore di crescita nervoso)
Il suo precettore, Giuseppe Levi, insigne docente universitario, istologo e anatomista, l’accolse nel grembo della propria facoltà nel 1929, iniziandola agli studi sul sistema nervoso, materia che avrebbe poi approfondito per il resto della vita. Assieme alla Montalcini, è importante ricordare come allievi di Levi anche Renato Dulbecco e Salvador Luria, anch’essi onorati in seguito del riconoscimento del premio Nobel.
La formazione ricevuta, perfetta sintesi del paradigma procedurale di Giuseppe Levi, permise alla Montalcini di applicare una nuova prassi metodologica d’indagine, rigorosa e al contempo innovativa per quella precisa parentesi storica: la coltivazione in vitro (processi biologici riprodotti in provetta e non in organismo vivente), punto di svolta focale, seppe segnare un vero e autentico spartiacque tra due epoche.
Nei primi anni Cinquanta scoprì il fattore di crescita nervoso (NGF), proteina implicata nell’accrescimento del sistema nervoso dei vertebrati: tale proteina coordina e gestisce la crescita degli assoni (conduttori d’impulsi interneuronali) per mezzo di meccanismi di segnalazione cellulare (designazione con la quale si allude alla sommatoria di tutte quelle modalità comunicative che interfacciano due o più cellule). Si consideri che, in quegli anni, le ricerche sui neurotrasmettitori versavano ancora in uno stadio iniziale, a tal punto da giustificare una concezione del cervello molto prossima allo schema di un circuito elettrico: condizione che conferisce alla suddetta scoperta un valore aggiunto che ne impreziosisce le implicazioni e ne fomenta l’importanza.
Passo successivo alla scoperta dell’NGF e, per certi aspetti, suo corollario, fu quello che vide la stesura di un’affermazione fondamentale: i sistemi immunitario, endocrino e nervoso non sono singole unità a sé stanti ma, in antitesi, apparati coordinati e interagenti di un sistema altamente sofisticato e complesso. Le implicazioni di tale asserzione erano evidenti: l’NGF si esplicava in tutta la propria fulgida importanza; il suo raggio operativo d’azione si estendeva a tutto l’organismo, non limitandosi alle sole sfere del sistema nervoso centrale e periferico. L’NGF non è più solamente, come inizialmente inteso, un fattore di accrescimento dei nervi, ma assurge al ruolo di modulatore, agendo in maniera sinergica sui tre rispettivi sistemi dai quali dipende l’omeostasi dell’organismo. Ulteriori studi di approfondimento evidenziano il ruolo fondamentale dell’NGF nella prassi di prevenzione nei confronti della sindrome dell’Alzheimer: bloccando la produzione della beta-amiloide, proteina principale imputata della suddetta patologia, arrestava sul nascere la progressione dell’affezione degenerativa. Risvolto certo inatteso delle ricerche sull’NGF concerne la patologia dell’ulcera corneale, sindrome che può produrre danni irreversibili alla vista, addirittura provocare cecità. Si evinse, previa applicazioni cliniche, che la somministrazione di collirio a base di NGF favoriva la riparazione dei tessuti colpiti da degenerazione ulcerale; non solo, anche il glaucoma, patologia ancor più aggressiva, risentiva di effetti benefici se sottoposto a trattamenti con NGF.
«L’umanità è fatta di uomini e donne e dev’essere rappresentata da entrambi i sessi», così affermava Rita Levi, dichiarando con quelle parole, certamente scelte con cura, apertamente, il suo sentirsi donna libera a tutti gli effetti; libertà sempre rivendicata non solamente per antitesi a quei valori vittoriani citati in esordio, per i quali la donna era collocata rigidamente in una cornice di asservimento socialmente accettabile, ma soprattutto per conferma di quella consolidata coscienza maturata in un clima domestico che aveva saputo, nei suoi limiti, stimolare lo spirito di ricerca e instillare curiosità al sapere. Di proposito scelse di rinunciare ad accasarsi, proprio per votarsi totalmente alla scienza e, nella prima parentesi degli anni Settanta, prendere posizione nel Movimento di Liberazione Femminile per la regolamentazione dell’aborto.
Quando la ricerca diventa poesia: scienziate italiane a confronto
“Quando la ricerca diventa poesia”, questo ho pensato leggendo di Rita Levi Montalcini, maturando tale riflessione sull’onda di un sussulto entusiastico; anzi, la vita stessa della scienziata diventa poesia; come il titolo del cofanetto pubblicato da Einaudi Stile Libero nel 2003, Più bella della poesia è stata la mia vita, video dedicato ad Alda Merini, la pittoresca aforista, poetessa e scrittrice italiana.
E sempre di poesia ho visto le tracce, quando ho seguito le orme delle scienziate d’Italia: forse non tutti sanno di Laura Bassi Veratti (1711-1778), bolognese di nascita, prima donna in assoluto a intraprendere carriera accademica e a ottenere la docenza di una cattedra universitaria. Sia Rita che Laura avevano respirato, da vicino, quel clima, già visto, di stampo vittoriano, i cui protocolli disponevano severamente il ruolo della donna, in posizione di totale sudditanza al sesso maschile.
Mi piace pensare che le due scienziate abbiano saputo non solo sovvertire quello schema, non solo anticipare una emancipazione femminile nella coerenza dei suoi reali valori motivanti, ma abbiano saputo principalmente creare quelle condizioni di rispettabilità, di coraggio e di auto-affermazione che avrebbero successivamente dato il via a quel non certo gratuito processo di riscatto sociale, culturale e spirituale, riassunto nel tema della liberazione femminile e del femmineo.