Sonofusione: la fusione nucleare in un bicchiere d’acqua
Redazione - Scienza e Conoscenza - 01/01/2016
Tratto da Scienza e Conoscenza n. 33.
Molto spesso la fusione nucleare è associata a esperimenti e ricerche portati avanti al di fuori dell’accademia, in maniera indipendente rispetto alla ricerca scientifica classica condotta in università o presso gli enti di ricerca ministeriali. Eppure anche ricercatori che operano in istituti ed enti pubblici stanno portando avanti ricerche di grande interesse su questo tema. È il caso della sonofusione, esperienza che vuole ricreare la fusione nucleare coprimendo bolle di vapore presenti in un liquido attraverso la pressione di onde sonore. Walter Bonivento – ricercatore presso l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) di Cagliari – ci racconta questa esperienza.
Da cosa nasce l’interesse del vostro gruppo per la sonofusione? Come mai avete deciso di intraprendere questa ricerca?
Ci siamo interessati a questo esperimento sulla fusione fredda e in particolare sulla sonofusione essendo venuti a conoscenza di un esperimento portato avanti negli Stati Uniti da un ricercatore russo, il dottor Taleyarkhan: la sua esperienza ci ha incuriosito e ci siamo messi nell’ottica di replicarla.
Qual è stata la disponibilità – economica e “mentale” – della ricerca accademica nei confronti di questa ricerca?
In principio di diffidenza. Ma nonostante qualche difficoltà iniziale, l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) – l’ente di ricerca per cui lavoro – ha stanziato i fondi necessari per portare avanti il progetto. Nel nostro Ente accanto ai grandi esperimenti, come quelli a LHC, che seguono linee di ricerca istituzionali, hanno sempre convissuto piccoli esperimenti atti a esplorare nuove idee. Da questi piccoli esperimenti poi, in caso di esito positivo, si sono evoluti esperimenti più grandi.
Può spiegarci che cos’è la sono fusione?
La sonofusione è un metodo per ottenere la fusione nucleare, sostanzialmente semplice da descrivere in maniera divulgativa. Lo scopo dell’esperimento è di raggiungere all’interno di un liquido deuterato condizioni di temperatura e pressione molto elevate tali da permettere l’innesco di una reazione di fusione termo-nucleare.
Questo esperimento si può ottenere comprimendo in maniera violenta, mediante un campo di pressione acustica, una bolla di vapore che è stata in precedenza creata all’interno del liquido deuterato: le condizioni di temperatura e pressione all’interno della bolla diventano tali da portare alla fusione.
Il punto di partenza dell’esperimento è il fenomeno della sono-luminescenza, noto fin dal 1933, che è stato più volte replicato anche dal nostro gruppo. Una bolla di vapore contenuta in un liquido e catturata da un campo stazionario di pressione si comporta sostanzialmente come un oscillatore forzato non lineare ed emette luce: è stato recentemente dimostrato che nella bolla si raggiunge lo stato di plasma.
Con la sono-luminescenza si arriva ad avere all’interno della bolla una temperatura che si aggira attorno al milione di gradi, fatto già di per sé stupefacente se pensiamo che attorto alla bolla ci troviamo a temperatura ambiente. Ma a questa temperatura non c’è la fusione, che si ottiene a 100 milioni di gradi. Il presupposto dell’esperimento è dunque quello di aumentare la temperatura all’interno della bolla per guadagnare due ordini di grandezza e passare così dalla sonoluminescenza alla sonofusione. Per fare questo è necessario lavorare sul miglioramento dei parametri sperimentali della sonofusione e quindi: utilizzare pressioni acustiche molto alte (dell’ordine di 15 bar); liquidi con un’alta resistenza alla rottura e altamente degasati; utilizzare idrocarburi deuterati con una bassa temperatura; passare dalla singola bolla a un cluster di bolle.
Ci sono stati altri esperimenti di sonofusione nel mondo? Che risultati hanno dato e come sono stati accolti questi risultati dalla comunità scientifica?
L’esperimento condotto da Taleyarkhan negli Usa è stato – come le dicevo – il nostro punto di partenza. La storia dell’esperienza portata avanti dal fisico russo è controversa: inizialmente i suoi risultati sono stati accettati e pubblicati su prestigiose riviste internazionali. In seguito le sue misure sono state contestate dalla sua stessa università, che lo ha accusato di frode scientifica.
Taleyarkhan ha più volte invitato i suoi detrattori a visitare il suo laboratorio e a verificare la sua esperienza, per dimostrare che non si trattava di un laboratorio di cartapesta e di misure buttate su un grafico. A tutt’oggi la situazione non è chiara: la mia opinione è che l’esperimento di Taleyarkhan ponga delle valide basi, che però sia necessario un miglioramento delle condizioni sperimentali.
Quali sono gli intenti degli esperimenti del vostro gruppo rispetto a quello che è già stato fatto?
Rispetto all’esperimento di Taleyarkhan ci siamo concentrati sul miglioramento delle condizioni sperimentali e quindi sul raggiungimento di un set-up stabile –obiettivo non banale e limite principale dell’esperimento del fisico russo.
Abbiamo lavorato a lungo su diversi fronti, cercando di studiare le soluzioni migliori, capaci di rendere l’esperimento riproducibile senza problemi.
Abbiamo incontrato notevoli difficoltà su diversi fronti. Per quel che riguarda la forma della cella, ad esempio: siamo partiti testando celle di forma cilindrica come quelle utilizzate da Taleyarkhan (egli stesso aveva riscontrato numerosi problemi sul fronte della rottura delle celle) che però non reggevano alla pressione e siamo passati a celle di forma sferica che si sono rivelate più resistenti. Inoltre per quel che riguarda i vetri utilizzati per le celle abbiamo contattato aziende che si occupano di vetri speciali in tutta Europa e abbiamo testato diversi vetri in collaborazione con l’Inrim di Torino (Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica). Anche sul versante del degassamento del liquido abbiamo incontrato notevoli difficoltà.
Avete già fatto delle misure? Cosa vi aspettate?
Ora che abbiamo raggiunto un set-up stabile per l’esperimento ci accingiamo a fare le misure, cosa che non abbiamo ancora potuto fare perché tutto coloro che con me stanno portando avanti questa esperienza sono principalmente coinvolti – me compreso – in altri esperimenti più grandi che occupano la quasi totalità del nostro tempo. Diciamo che riusciamo a dedicarci alla sonofusione nei ritagli di tempo disponibili.
Prima di tutto ci aspettiamo di ottenere l’effetto e quindi di misurare l’emissione di neutroni in maniera certa: non è infatti banale distinguere i neutroni prodotti dalla fusione da quelli presenti a livello ambientale.
In definitiva poter osservare sperimentalmente la fusione nucleare in un bicchiere d’acqua sarebbe certamente un grande risultato.
Lei lavora anche all’esperimento LHCb al Cern di Ginevra. Quali sono le differenze tra le grandi collaborazioni ed esperimenti più “artigianali”, quasi da “scantinato”, come quello sulla sonofusione?
Le differenze sono enormi: lavorare in una collaborazione di grandi dimensioni pone l’accento sulla competizione tra ricercatori. Inoltre il lavoro è specializzato, cioè ogni ricercatore si occupa solo di alcuni aspetti specifici. La dimensione dello “scantinato” è molto diversa: si sviluppa una conoscenza totale di tutte le dinamiche – scientifiche e tecnologiche – dell’esperimento ed essendo il gruppo di lavoro ristretto c’è maggior possibilità di proporre e veder accettate le proprie idee. D’altro canto non si ha quella dimensione di discussione e controllo reciproco che si ravvisa nei grandi esperimenti ed è piu difficile reperire i fondi e la strumentazione per le proprie ricerche.
Diciamo che forse il cocktail ideale è la partecipazione ad entrambi i tipi di esperimento per trarne il massimo beneficio intellettuale.
Abbiamo intervistato
Walter Bonivento
Ricercatore INFN della sezione di Cagliari, è anche membro della collaborazione LHCb al Cern di Ginevra.
Per quel che riguarda l’esperimento sulla sonofusione di cui ci sta occupando, è possibile visionare su you tube (digitando bonivento, sonofusione) la sua presentazione tenuta in occasione della conferenza “Eppur si fonde” tenutasi a Milano nel novembre del 2009.
Tratto da Scienza e Conoscenza n. 33.