Il senso del viaggio e della ricerca: in viaggio con Sabrina Mugnos
Sabrina Mugnos - 01/01/2016
Tratto da Scienza e Conoscenza n. 36.
L’idea di creare una rubrica sui miei viaggi è nata con gli amici della Redazione di Scienza e Conoscenza in maniera puramente conviviale; del resto non sarebbe potuto essere altrimenti, perché queste iniziative sbocciano animate da passione ed entusiasmo.
Galeotto fu un pasto frugale, alcuni mesi or sono, al termine di un convegno, quando ho cominciato a raccontare con enfasi le mie avventure in giro per il mondo accompagnate da foto e filmati che scorrevano sullo schermo del mio pc.
Viaggiatori di oggi…
Una premessa è doverosa. Oggi viaggiare (per piacere, s’intende) non è più un’impresa eccezionale da impavidi avventurieri, ma quasi un’ostentazione di libertà, di fuga dalla quotidianità per accedere a qualcosa di nuovo, originale e possibilmente inatteso. Tutti possono decidere in qualsiasi momento di raggiungere l’altro capo del globo, e l’indomani svegliarsi sotto la sua alba. Il turismo con tutti i suoi servizi accessori (voli aerei, noleggio di automobili, alberghi, guide, intrattenimento) ha fatto del viaggio qualcosa di comune e prontamente accessibile, e del mondo un manifesto affisso al muro che si può consultare al prezzo di un biglietto.
Negli ultimi anni, poi, è nata la moda (e il business) di compiere imprese estreme, o di sfidare luoghi estremi, azzardando la sopravvivenza in una natura ostica popolata da animali spesso feroci. I canali televisivi traboccano letteralmente di scavezzacollo che si esibiscono buttandosi giù da strapiombanti pareti innevate con sci e tavole, di chi si lancia nel vuoto con tute alate o, ancora, di chi beve la propria urina nel deserto, danza con gli squali, e infila la testa nella mandibola degli alligatori dopo aver stanato insetti e rettili velenosi e, magari, esserseli mangiati crudi per colazione! Il tutto sotto l’occhio vigile delle telecamere, nonché di varie strumentazioni pronte, oltre che a documentare l’impresa, a togliere da eventuali guai i malcapitati protagonisti.
La tecnologia e la brama di protagonismo hanno reso l’uomo più spregiudicato e impudente, dedito principalmente alla mera spettacolarizzazione di performance che, però, rimangono fini a se stesse, e che hanno totalmente snaturato l’essenza dell’avventura di viaggio.
… e di ieri
I grandi esploratori del passato non avevano telefonini satellitari, abiti fatti in tessuti ultraresistenti al gelo e alla pioggia, scarpe studiate per aderire alla roccia, barrette energetiche per nutrirsi e, soprattutto, squadre pronte ad accudirli e un corteo ad attenderli e applaudirli. Erano solo uomini armati della grande curiosità di sapere che volto avesse l’ignoto, e quanto fossero in grado di fronteggiarlo con le loro forze.
In nome di questo patirono la fame, il freddo e la solitudine, spesso guardando la morte in volto mentre avanzava lentamente verso di loro, e accogliendo il suo tocco con dignità, come se accettassero di pagare pegno, rassegnati, per il loro azzardo.
La lettura delle loro gesta rimane uno dei passi più commoventi della nostra storia, e quando si pensa alla conquista degli angoli più remoti del nostro mondo, è il loro grande ed eroico sacrificio che affiora nell’ideale collettivo, come un richiamo patriottico sopito ma ancora vivo dentro la memoria genetica di tutti noi.
Anche spingendoci più indietro, nell’antichità, viaggiare era un’esperienza eccezionale, una stagione rara della vita che aveva valore in quanto realizzava il fato umano, rivelava quelle forze che sostenevano, plasmavano o governavano la sorte degli uomini. Spesso, quindi, la dipartita era decretata dagli dei, e assumeva la forma di una punizione, una condanna, o un percorso di purificazione. Le sofferenze del viaggio facevano da cornice alle gesta degli eroi e ne amplificavano l’importanza: facevano affiorare il coraggio, la resistenza, la capacità di sopportare il dolore, di mantenere certe capacità anche in situazioni di affaticamento e pericolo.
La storia, insomma, ha operato una metamorfosi sul significato del viaggio, e gli umori che oggi si respirano sembrerebbero evocare una certa nostalgia per i tempi in cui esso era davvero tale – quando ambiva a scavalcare il confine tra il noto e l’ignoto, tra il mondo della civiltà e quello ancora selvaggio e a divenire intermediario di aree culturali diverse, artefice di un mondo in crescita sui rapporti esterni. In fondo, questa civiltà fatta di confini e barriere che includono ed escludono gli altri definendo se stessi, paradossalmente è stata creata proprio da generazioni di viaggiatori, esploratori, mercanti e migratori che hanno creato e suggellato nuovi rapporti e legami sociali tra i popoli.
Il richiamo ad andare
Tuttavia ritengo che ogni uomo sia il retaggio genetico di tutta l’umanità che l’ha preceduto, e sono certa che un istinto atavico così potente accompagnerà e guiderà sempre almeno una parte della nostra civiltà.
Io posso parlare di me stessa, di quanto il mio desiderio di viaggiare sia una sorta di vocazione, un richiamo eterno, un fuoco sacro alimentato da una brezza leggera ma incalzante che proietta il mio sguardo verso orizzonti lontani ma urgenti, che brucia dentro producendo un irrefrenabile richiamo a partire. Forse è un bisogno di mutamento, perché gli scopi e le motivazioni del viaggiare cambiano e si accrescono durante il corso della vita. O magari è un modo per decifrare metafore e simboli alla base di transizioni e trasformazioni interiori che fanno parte della vita e della morte. O ancora, più semplicemente, viaggiare è un modo per conoscere a fondo se stessi, soprattutto quando nella difficoltà o nel pericolo l’identità del viaggiatore si logora e impoverisce riducendosi ai suoi elementi più puri ed essenziali.
Grandi domande, grandi risposte
Viaggiare, insomma, è un’avventura innanzitutto introspettiva, quasi mistica, animata da un istinto vitale innato.
Ma è anche un modo per essere testimoni del mondo reale, non distorto da racconti e visioni soggettive; un mondo che ogni uomo dovrebbe vedere con i propri occhi, tanto più uno studioso che si rispetti e che voglia comprendere a fondo un fenomeno, un luogo o gli usi e costumi di popolazioni umane o animali a lui sconosciute. È assolutamente necessario recarsi in loco e osservare, misurare, documentare ma anche respirare e assorbire l’atmosfera di tutto ciò che circonda l’oggetto di studio.
Certamente un astronomo non può raggiungere stelle e pianeti, così come un genetista non può miniaturizzarsi e inerpicarsi per la doppia elica del DNA, ma è sotto la struggente magia del cielo stellato che gli uomini si sono posti le grandi domande, ed è spiando i piccoli grandi “miracoli” della vita che stanno ottenendo grandi risposte.
Allo stesso modo i primi geologi, botanici, antropologi, archeologi e quant’altro, furono dei innanzitutto dei grandi viaggiatori: essi ebbero clamorose intuizioni sulle loro ricerche proprio esplorando in prima persona, ovvero ascoltando e contemplando il mondo che andavano scoprendo.
Le scorciatoie tecnologiche in questo caso non funzionano: per comprendere in profondità le manifestazioni della natura che lo circonda l’uomo deve entrare in simbiosi con essa, diventarne parte, attore e spettatore.
Ciò non significa che gli studi teorici e bibliografici siano un’inutile perdita di tempo: anzi! Sono il punto di partenza di ogni ricerca, e talvolta sono anche l’unica via di indagine. Ma il cosiddetto “studio di campo” (ovvero in loco) sarà sempre la miglior opzione, perché ogni fenomeno è figlio del luogo che lo genera, così come ogni etnia è ciò che il suo ambiente le ha imposto di essere.
Dalle pietre erranti all’Area 51
Nel corso di anni di viaggi ho potuto constatare come svariate ipotesi, scientifiche e non, si siano basate su assunti completamente sbagliati, frutto dello scopiazzamento e del rimaneggiamento di informazioni raccolte qua e là da parte di chi non si è mai recato verso la propria meta di studio.
Ciò premesso, questa rubrica è nata proprio per raccontare una parte di quella piccola fetta di mondo che ho visitato, le emozioni che mi ha suscitato e i fenomeni che ho visto e studiato.
Abbiamo pensato di cominciare raccontando qualcosa di molto curioso, ovvero la storia di quelle che abbiamo chiamato pietre erranti: massi di varie forme, composizione e dimensioni che, in diversi luoghi del mondo e per motivi differenti, si muovono di continuo o si sono mossi in passato.
Saranno mostrati tre casi differenti: di uno – i Moeraki Boulders della Nuova Zelanda – siamo riusciti ad arrivare a capo della sua intera dinamica di affascinante fenomeno naturale; ma per gli altri due si brancola nel buio. In particolare, le Sliding Stones della Racetrack Playa, nella Death Valley californiana, ci sfilano letteralmente sotto il naso da una settantina d’anni ma ancora non si è riusciti a coglierle in movimento e a comprendere il fenomeno. Le Bolas della Costa Rica, invece, ora sparpagliate qua e là, sembrano più delle sculture artificiali, ma risalire al loro scopo e, soprattutto, ai costruttori sembra per ora pura congettura.
Molto è ancora in ballo, insomma, per buona pace di coloro che pensano che la scienza sia solo un concentrato di noiose certezze e non si sposi col mistero; e che per noi, uomini tecnologici del terzo millennio, il mondo non abbia più segreti!
Infine, dal momento che esplorare un luogo significa entrare in contatto con tutte le sue sfaccettature, racconteremo anche di una piccola avventura alla volta della famigerata Area 51, adagiata proprio accanto alla Death Valley. Considerata la Mecca degli ufologi di tutto il mondo, convinti che custodisca le prove dell’esistenza di vita aliena, è letteralmente blindata dalle forze militari: arrivare al suo ingresso principale, se non viene usata grande prudenza, può rivelarsi un azzardo.
Bene, a questo punto non mi rimane che augurarvi buona lettura e, soprattutto, buona visione dei paesaggi straordinari che incorniceranno la nostra piccola avventura.
Tratto da Scienza e Conoscenza n. 36.
Scritto da Sabrina Mugnos
Geologa, ha studiato e visitato decine di vulcani in giro per il mondo attraverso esplorazioni avventurose e talvolta estreme. Si occupa da tanti anni anche di astrobiologia e di Archeoastronomia. Il suo ultimo libro, I maya e il 2012, Indagine scientifica (Macro Edizioni), sta riscuotendo un grande successo in Italia e in diversi paesi stranieri. Impegnata in corsi, seminari e convegni a respiro internazionale, è spesso ospite di trasmissioni televisive e radiofoniche.
Per maggiori informazioni: www.sabrinamugnos.com.
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